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Gli Annuals sono come quegli studenti dotati che non hanno bisogno di studiare la lezione per fare una bella interrogazione: assimilano ogni nota emessa da band come i Bears, gli Shins o i Death Cab For Cutie per farne un infervorato mix, sorprendente, inventivo, esuberante, pieno di sole, mai raffazzonato.
Gli aggettivi si sommano attorno a “Count The Rings” che possiede la chiave della felicità da usare in quei grigi pomeriggi in cui tutte le porte sono serrate, delineando un discorso più complesso di quello che una semplice collection, quale questa è, produrrebbe. Infatti non è la classica raccolta che riassume una carriera, né la necessaria uscita che colma un vuoto di creatività e soprattutto di esigenze di contratto. “Count The Rings” è il florilegio assortito di brani preferiti che Adam Baker & Co. offrono come portfolio agli ascoltatori europei che dal 2006, dopo il primo Lp “Be He Me”, li avevano perso di vista. Tanto per far gradire la bravura alla quale sono giunti nel frattempo.
Opulenti nel loro tropical pop che permette alla loro passione per le percussioni di correre libera, persino epici nel loro anthem pop che si libra toccando spesso note di seria maturità (dolceamara la chitarra slide in “Always Do” che porta ad un crescendo sofferto mozzafiato), esuberanti nel pop rock che ringiovanisce decenni di ascolto (da grido “Hair Don’t Grow”), i brani sono autenticamente felici, intelligenti, frutto di giovani talentuosi, ben intenzionati a creare la perfezione, declinando il pop in tutti i suoi casi.
Apre le danze una b-sides pregiata, “Eyes In The Darkness” divertimento di cori californiani, tastiere, chitarre, percussioni, puntellata da un basso indiavolato, fondamentale per mantenere tutti gli elementi in palla. “Hot High Hounds” rappresenta la fusione di dance rock (poi magnificamente esposto in “Turncloaking”) e un energico pop contemporaneo, ispirato, sfacciato, candidato ad un futuro ancora tutto da sondare, ricordando a tratti, in modo impressionante, i primissimi Guillemots prima che smarrissero la mappa per l’isola del tesoro.
Poi arriva il momento di “Springtime” lo sfaccettato capolavoro della raccolta che dice cose differenti ad ogni singolo ascolto. Ti fa desiderare non urlare ma cantare a fil di labbra, per controllarla, l’emozione più traboccante del cuore. Uno di quei momenti musicali che sono in grado di far riaffiorare ricordi importanti della tua vita. Un coro di amici riuniti di fronte al fuoco si porta via tutto quanto!
Ed ancora “Loxstep” che felicemente alterna tempi da bossanova ad un’elettronica commerciale che non sdegna, ma che anzi si autonobilita.
In “Sweet Sister”, caratterizzata di nuovo dal basso propulsivo che rafforza gli intrecci delle percussioni, emergono qua e là cori etnici (che fanno il paio con i cori di “Hardwood Floor”), a riprova di un’attitudine sperimentale che percorre l’album da brano a brano, nell’intento riuscito di unire generi disparati nello stesso abbraccio pop.
La title-track “The Giving Tree”, ennesimo b-side, è l’altro capolavoro della collection, il compendio melodico per eccellenza che fonde in una pillola di 3 minuti appena glitch pop, suoni acustici di fresca derivazione indietronica, toccanti atmosfere nipponiche e un tripudio vivido di percussioni.
“Count The Rings” ovvero il trattato sopra la brevità e la felicità, sotto un sole allegro che illumina con identica luce le croci e le delizie della vita… Ah poter essere sempre come gli Annuals!
(Stefania Italiano)
Collegamenti su Kalporz:
The Shins – Wincing The Night Away
The Shins– Chutes Too Narrow
The Shins– Oh, Inverted World
Death Cab For Cutie– Transatlanticism
Death Cab For Cutie– Plans
08 dicembre 2010