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Non che qualcuno non se ne fosse accorto, o che il fenomeno, in crescita ormai dalla metà degli anni 2000, necessiti di ulteriore rilievo, ma è un fatto: è tornata la psichedelia; in particolare la nuova scena statunitense, equamente distribuita tra costa est ed ovest, che ha prodotto negli ultimi tempi un numero notevole di band di qualità. Certo, si tratta di una psichedelia diversa dal passato, che ha imparato la lezione minimalista e “anti-sistema” del post-punk e della new-wave anni ’80 e assunto come irrinunciabili alcune sonorità shoegaze ed elettroniche, e, certo, un fiume carsico a tendenze lisergiche è più o meno sempre esistito, ma l’onda comincia ad assumere proporzioni ragguardevoli contribuendo alla definizione di un suono dei primi anni dieci. Una tendenza dai tratti egemonici, in qualche modo infatti tutti oggi fanno psichedelia, dai Deerhunter agli Animal Collective, dai Real Estate a Dan Deacon.
Interne a questa recente “invasion” sono sicuramente le Warpaint, quattro ragazze di Los Angeles che dopo un EP di sei tracce (“Exquisite Corpse”, mixato, sinistramente, da John Frusciante) e una buona esibizione al CMJ Festival, sono state notate dalla Rough Trade ed invitate a cimentarsi con una prova sulla lunga distanza, da cui è emerso questo “The Fool”.
Il suono Warpaint si connota come un impasto di delicato dream-pop legato alla attuale scena della west-coast (Beach House ad esempio), art-rock e new-wave vetero eighties. Marcatamente psichedelico, dilatato, pacificato, è in effetti l’inizio dell’album con canzoni di sicuro impatto come “Set Your Arms Down” ed il singolo “Undertow”, che aprono sterminati spazi in cui ci accompagna la bella voce sognante di Emily Kokal, segno distintivo di tutto il disco. Non siamo però in presenza del solito gruppo “alla moda” la cui musica altro non è che una accurata operazione filologica finalizzata a cogliere ciò che è gradito al momento e a riproporlo con alcune varianti: lo dimostra l’originalità, che è ad un tempo notevole pregio e sostanziale difetto, della parte centrale dell’album. Le tre tracce che la costituiscono rappresentano il lato più interessante, magmatico e caleidoscopico della proposta del collettivo californiano: “Bees” sorprende col suo incedere quasi funk, con la Kokal impegnata in un motivo a tratti hip-hop che mostra un certo eclettismo anche in ciò che tende a rimanere maggiormente costante lungo tutto l’album, proprio la voce. La successiva “Shadows” prende le mosse da una sorta di dream-country virando poi decisamente verso tribalismi che ricordano Bat For Lashes nelle sue prove più recenti: proprio le atmosfere evocate da Natasha Khan emergono nella eterogenea e molteplice “Composure”, segnata lungo il percorso dai ritmi spezzati di impronta squisitamente indie della batteria di Stella Mozgawa. Ed in effetti proprio le evoluzioni delle percussioni sembrano connotare i mutamenti del suono delle Warpaint, dall’evidenza oscura e tribale, al puro battito wave, fino a prolungati momenti vintage in stile Canterbury Sound. Non è un caso se si parla della Mozgawa come della miglior batteria di Los Angeles e dintorni.
Dopo la ballata semi-acustica “Baby” la conclusione è affidata alla elettronica “Majesty” e alla sfuriata finale di “Lissie’s Heart Murmur”, che lascia l’ascoltatore in parte ipnotizzato, in parte intimidito dal coacervo di suoni di “The Fool”. Un insieme che, a partire da una fondamentale propensione alla dilatazione lisergica, si lascia alle spalle i luoghi comuni, anche odierni, del genere per approdare ad un interessante art-rock, ad una avanguardia appena accennata.
“The Fool” è quindi un album interessante, ricco di belle canzoni, multiforme e spesso inafferrabile come un tutto unitario: proprio questo carattere, che rende l’ascolto spesso sorprendente e mai noioso, rappresenta però anche il fondamentale limite del disco. Un sound non ancora limato, tutt’altro che monolitico, che può ancora prendere insospettate direzioni e che, fatalmente, eccede in alcuni barocchismi che risultano fastidiosi, così come alcuni passaggi molto oltre i limiti di una elementare sobrietà compositiva: trattandosi di un primo album è un processo in parte fisiologico. Se si compirà, se cioè queste quattro ragazze riusciranno a trovare una loro via ad un pop sofisticato ma dotato della necessaria essenzialità ed omogeneità, i risultati si noteranno sicuramente. Per adesso ci teniamo questo album fatto di molte cose, spesso tra loro difficilmente componibili, ma accomunate da un intima propensione al sogno, al viaggio, all’ipnosi. E può bastare, perché un mondo con più psichedelia è un mondo migliore.
(Francesco Marchesi)
Collegamenti su Kalporz:
Caspiterina! – Warpaint, tre losangeline ipnotiche e lunari (25.01.2010)
1 Comment
anestesis
appena uscito mi piacque abbastanza, oggi non ho voglia di ascoltarlo, parziale delusione. 55/100