Share This Article
Sottotitolo non dichiarato: “Meloy plays Meloy”. Il nuovo album della band di Portland è un buon disco, per carità, e si ascolta volentieri, come sempre i Decemberists, ma ci si sente dietro un principio di manierismo, come un leggero sentore di fiori appassiti. La freschezza, l’ironia e il sentimento di dischi come “Castaways and Cutouts” e “Her Majesty” si sono un po’ affievoliti. Ci sono alcuni bagliori luminosi, come “Calamity Song” o la tenera “January Hymn”, un’elegia dove Meloy esprime tutta la sua vena romantica, ma nell’insieme non si avverte quel guizzo, quella levata d’ingegno che serve a trasformare alcuni buoni spunti in un ottimo album. E non bastano la chitarra di Peter Buck e gli omaggi ai numi tutelari – R.E.M. in testa ma anche Bruce Springsteen – a fare la magia. Dopo la sbornia di “The Hazards Of Love” i Nostri rientrano in ranghi più misurati – “The King Is Dead” è il più breve fra i loro sei LP – spingono sull’acceleratore del country-folk – armonica e violino – e frenano con decisione gli istinti barocchi e progressivi – niente organo e pochissimo piano per Jenny Conlee, niente violoncello. Ma in questo modo si perde il carattere precipuo di Meloy e compagni, quell’ibridismo tanto difficile da classificare quanto accattivante anche per il pubblico più esigente. Un disco molto “americano”, che guarda alla madrepatria e rinuncia in gran parte alle interferenze britanniche che tanto ci piacevano. Ma rincorrere i sacri modelli non paga: dai Decemberists ci si aspetta più autonomia espressiva. Mancano la scrittura raffinata, gli arrangiamenti più complessi, le modulazioni sottili e vibranti di “California One/Youth And Beauty Brigade”, l’atmosfera favolosa e atemporale di “The Crane Wife”. Molte chitarre, a volte troppo prevedibili. “Rise To Me” ricicla qua e là (quel “My Darling, My Sweetheart”…), “Down By The Water” suona vecchiotta e noiosa, meglio, anche senza colpire al cuore, la precipitosa “This Is Why We Fight”. La musica scorre via agile e piacevole ma l’impressione che lascia è quella di una pausa di riflessione in tono minore. D’altra parte anche “Picaresque” per molti versi segnò uno stallo nell’ispirazione – in questo siamo d’accordo con quanto ne scrisse Raffaele Meale – superato poi di slancio da “The Crane Wife”. E se “The Hazards Of Love”, scusate il bisticcio, fu un po’ un azzardo, una forzatura, allora forse un album come questo ha la sua giustificazione e si può sperare in un ritorno all’ispirazione dei giorni migliori. Magari rallentando i ritmi di pubblicazione.
60/100
(Federico Olmi)
Collegamenti su Kalporz:
News – The Decemberists fanno un inno a gennaio (19.12.2010)
The Decemberists – The Hazards Of Love
The Decemberists – Concerto all’Estragon (Bologna)
The Decemberists – The Crane Wife
The Decemberists – Picaresque
11 febbraio 2011