A Mente Fredda: “The King Of Limbs”

5 Comments

  • matteo maioli
    Posted 23/03/2011 at 15:59

    The King of Limbs lo vedo come un EP come potevano essere i vari I Might Be Wrong e Running From Demons: avrei incluso, anche se di un paio d’anni precedenti, le splendide Harry Patch e Twisted Words per dare magari più varietà al disco..
    Lotus Flower Codex e Give Up The Ghost sono la triade da ricordare, ma In Rainbows è decisamente superiore. Cmq (forse) sono sempre i più grandi!

  • Matteo Marconi
    Posted 23/03/2011 at 17:00

    Ottima idea questi highlights di recensione.
    Dà l’idea del fallimento del progetto ( dei radiohead).
    E io ne godo.!

  • David
    Posted 24/03/2011 at 09:29

    Effettivamente una rilettura era neccessaria, era giusto fare passare un po’ di tempo, il tempo necessario per capire che il disco non cresce con il crescere degli ascolti. Purtroppo credo che sia il primo passo falso dei Radiohead, infatti (quasi) nessuno ne parla neanche piú. Forse tutta quest’ansia di essere rivoluzionari da un punto di vista del marketing ha penalizzato quello che davvero conta, ovvero la musica?

  • Piero
    Posted 31/03/2011 at 23:05

    A costo di andare controcorrente vi dirò: A me King of Limbs non è dispiaciuto. L’impressione che ho avuto dopo qualche ascolto è di un disco sicuramente più atmosferico dei precedenti; a mio (modestissimissimo) parere i Radiohead oramai si sono definitivamente distaccati da quell’alone di forzatura che le etichette impongono e hanno raggiunto una maturità musicale, nonchè una indipendenza economica che non guasta mai, che permette loro di sperimentare e di dedicarsi a quello che scelgono senza vie obbligate da percorrere.
    Certo, Kid A o Amnesiac sono biscugini di quest’ultimo album, ma mi piace vederlo come un percorso di un gruppo che pur suonando da più di 20 anni riesce sempre a suscitare reazioni, positive o negative che siano. E, purtroppo, questo non è sempre scontato.

  • Alessandro
    Posted 03/04/2011 at 00:24

    Dalle casse del mio laptop continua ad uscire, almeno una volta al giorno, ogni giorno dalla data di uscita del disco, il suono originale e non pretenzioso degli ultimi Radiohead. Non sono stato per nulla deluso.

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Se potessi ripercorrere in un attimo, nuotando controcorrente, le rapide di questo fiume oramai giunto al suo estuario, nella estrema fissità di questo mio prossimo viaggio nella noia orizzontale, sceglierei gli anni in cui la volta celeste non era altro che un enorme lenzuolo fatto a cielo e la luna una palla polverosa gettata nel vuoto e catturata con le unghie dall’egoismo del pianeta Terra. E noi, bimbi, cadevamo con essa per sempre, aggrappati in un infinto sprofondo gli uni agli altri, grazie a un gomitolo di lana nera. I grandi dimenticarono in fretta di avere un mondo con certe stelle enormi, sopra il capo, da osservare, mentre noi sacrificavamo la nostra noia migliore per costruire ponti sospesi nello spazio che ci allacciassero a un’agognata luna. La dipingemmo butterata e funesta, con maremoti sulla superficie di un ponto che non era mai tranquillo, ma tutta una schiuma fremente di gorghi e mostri marini. Nuovi esseri di ordinaria malinconia calpestavano un tappeto soffice come zucchero filato sparso su una teglia, in cui si radicavano piante cresciute dolci come torroni. Altre volte immaginammo un balzo da gigante come in mongolfiera, le tante mongolfiere tipiche di una domenica d’estate, un balzo che ci consentisse di fuggire all’avarizia terrestre e alle sue costrizioni. In anni in cui razzi enormi arrugginivano in volo, pensammo a uno sgangherato proiettile cavo sparato negli occhi della luna come nei film dei Meliès, in cui potessimo accovacciarci per il viaggio, assieme ai nostri migliori amici. Ma poi venne il tempo di un leggero disincanto, e, anche sognando a occhi aperti, non potevamo far altro che immaginarci tute e scafandri e missili scagliati a violentare qualche nuovo cielo. E poi, al ritorno, schivare incredibili uragani e tempeste, per posarci placidamente in un mare che ci accogliesse come un telo. Eravamo certo molto giovani e molto felici e pensavamo, con rabbia, di non dover invecchiare mai. (Matteo Marconi) Le puntate precedenti Back To The Future Vol. 9 - Stuart Adamson morì nel 2001 e nessuno ne parla più Back To The Future Vol. 8 - I Vines e il Verona dell'84-'85 Back To The Future Vol. 7 – “I figli degli operai, i figli dei bottegai!” Back To The Future Vol. 6 - Ekatarina Velika (EKV) Back To The Future Vol. 5 - Gli Air sul pianeta Vega Back To The Future Vol. 4 – “Stay” e gli angeli degli U2 Back To The Future Vol.3 - La lettera dei R.E.M. e di Thom Yorke Back To The Future Vol. 2 – Massimo rispetto per i metallari (1987-89) Back To The Future vol. 1 – L’estate di Napster 14 settembre 2010