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I texani And You Will Know Us By The Trail Of The Dead giungono al loro settimo capitolo e lo fanno nel migliore dei modi. “Tao of the dead” è un ottimo lavoro. E non solo perché tra i suoi solchi si racchiude e viene riproposta tutta la potenza e l’irruenza della band, ma anche perché si ha l’impressione che i Trail of the dead siano riusciti a racchiudere tutte le caratteristiche del loro mondo musicale in un disco che però risulta fruibile e scorre senza cali di qualità dal primo all’ultimo minuto. E se rispetto al passato sono state levigate e smussate le ruvidezze sonore che caratterizzavano album come “Source Tags & Codes”, l’impatto rimane granitico così come lo è nelle infuocate esibizioni dal vivo.
Il binomio formato da Condrad Keely e Jason Reece, vera anima della band texana, ha voluto cimentarsi con “Tao of the dead” utlizzando suoni livemente più inusuali. L’asprezza punk e quasi lo-fi di lavori precedenti lascia il posto a un approccio più votato al rock venato di progressive ovviamente reinterpretato in chiave Trail of the dead. Questo cambiamento è supportato da una produzione pulita e precisa, in un album in cui niente viene lasciato al caso. Dopo un breve intro l’inizio del disco è affidato a “Pure radio cosplay”, efficace ed incisivo, in cui risaltano le melodie e una struttura rock piuttosto classica. Una formula che ritroviamo anche in “Summer Of All Dead Souls “ primo singolo del disco, con un approccio che strizza l’occhio a un certo hard rock anni ’70. In un periodo in cui molti si sono avventurati attraverso territori marcatamente lo-fi, sentire un gruppo come i Trail of the Dead che sfornano un disco pulito e preciso fa un certo effetto. Di sicuro “Tao of the Dead” è un disco inatteso per alcuni versi. Così come alla fine del lavoro arriva inatteso il delirio quasi prog dei sedici minuti di “Strange News From Another Planet”, in pratica una seconda parte dell’album in cui parti vocali si contrappongono a lunghe fasi strumentali.
Non resta che attendere la prossima avventura discografica per capire se questo lavoro è solo una parentesi o una nuova fase del cammino creativo del quartetto di Austin.
69/100
(Francesco Melis)
30 marzo 2011