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I peones sarebbero, di partenza, i braccianti sudamericani senza terra, la manovalanza al lazzo di sprezzanti latifondisti sfruttatori, il quarto stato senza rappresentanza. In Italia, nella quale, purtroppo, di rivoluzioni contadine se ne sono viste fin troppo poche, i peones sono più che altro un effetto collaterale del parlamentarismo più esasperante, manovalanza da voto al soldo di grandi multinazionali partitiche dell’interesse privato intensivo.
Difficile allora stabilire con certezza a quale delle due lezioni etimologiche del termine si richiamino i padovani Speedy Peones i quali, nel loro secondo disco (che ingloba anche materiali già apparsi nel precedente ep del 2008, non per niente intitolato “Fast-Listening”), fanno della brevità una precisa metodologia (s)compositiva, con dodici esili tracce costipate in poco più di venti muniti. Il risultato non delude, anche perchè il pedigree è di tutto rispetto: si parte per lo più da certe storture post-punk interessate a dialogare in maniera non costruttiva con il rumore (ascoltando piccole escoriazioni soniche del rango di “Cinebrividus”, l’ambiziosa e spettrale “Moon” o “Mafia” vengono in mente brutti ceffi come Pere Ubu, Fall o Swell Maps), ma durante il tragitto si incontra anche tanto astrattismo beefheartiano portato ad un superiore livello di nevrosi e caos (l’incubo space-billy di “Brand New Girl” che a tratti somiglia pericolosamente al suono di mio padre che affida una vecchia lavatrice al robivecchi, improperi compresi, al pari di “Grand Arab Ok Ok”). Né, in pezzi come “Système Solaire” (la hit indubbia di questo album) o “Roma”, si può evitare di notare un certo grado di parentale poetica con gli incubi garage ad occhi aperti (e sempre sul filo dell’onanismo più macabro) di giovani e perduti eroi dell’America contemporanea come The Oh Sees, Hunches, Jay Reatard o primissimi Black Lips (tutti, e non certo per caso, almeno una volta nella vita sotto l’ala malsana dell’etichetta-manifesto In The Red).
Per il resto, tante urla, synth da b-movie fantaorrorifico (e infatti il nome olandese citato nel titolo del disco è quello del mirabolante illustratore dei romanzi Urania) rigorosamente vietato ai minori e acrobazie assortite di non senso che hanno fin troppe cose da insegnarci.
Non chiamatele canzoni però, chè sarebbe il peggiore degli insulti.
Spazzatura per palati accorti.
77/100
(Francesco Giordani)
15 marzo 2011