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C’erano tutti sul palco, stasera, insieme ai Deerhunter. Nel caldo nucleare del Locomotiv c’erano i Pixies con la loro sincerità, c’era Syd Barrett perso nella sua effettistica casalinga, c’era Elvis che muoveva il bacino senza tregua, c’era Novoselic che suonava il basso con quel suo modo goffo di saltellare, c’erano i My Bloody Valentine che ti davano degli schiaffi sulle orecchie. Insomma, c’erano Bradford Cox e soci.
Serata atomicamente calda sia come gradazione interna che come livello sonoro, un concerto di pancia totale caratterizzato da un’esuberanza viva e onirica, da una capacità inesplicabile di sembrare gruppo navigatissimo e, allo stesso tempo, di ragazzetti-da-prove-del-sabato-pomeriggio. I Deerhunter non hanno iniziato benissimo il live, con una “Desire Lines” fatta per seconda (e conosciamo tutti la bellezza di questa canzone, soprattutto della parte finale) rallentata e senza l’ipnosi giusta. Poi però la band di Atlanta si è rimessa subito in carreggiata grazie a quello che è il vero mattatore della band, il membro da cui dipende tutto: Bradford Cox. Lockett Pundt si guardava intorno fintamente sperso con le sue manine-bradipo ferme sul manico della chitarra, Josh Fauver fissava il vuoto e probabilmente vedeva gli angeli, sorridendo e pigiando sul basso passando senza colpo ferire da note distorte piene e grasse a giri più tecnici, e infine Moses Archuleta sopperiva a certi cali di ritmo con la sua personalità vivace ed energica. Gli altri sono i compari necessari, Cox è la star, con il suo muoversi dinoccolato, con i suoi ghigni improponibili ed un talento smisurato che gli esce dalle tasche.
Tra le song più apprezzate della serata si possono citare una “Revival” quasi da twist, una “Helicopter” liquida e una “He Would Have Laughed” lunghissima e psichedelica, come a volerci ricordare – e non ce n’era bisogno – che “Halcyon Digest” è un disco della madonna. Tirandosela anche un po’: l’audience richiede “Never Stops? E i Deerhunter non la fanno. Ma non è probabilmente questione di strafottenza: il contatto band-pubblico era palpabile, accresciuto nell’ultima parte dopo la pausa, quando i Deerhunter chiedevano di suonare al buio, con solo la palla da discoteca che rifrangeva qualche minuscolo quadrato di luce sul palco. Minuti di suoni da godere puramente chiudendo gli occhi e facendo partire la mente: i Deerhunter dal vivo si muovono infatti sul livello cerebrale e contemporaneamente su quello emotivo, possono alle volte esagerare un po’, soprattutto sui feedback, ma l’eccitazione psichedelica che sprigionano è talmente elevata ed incontenibile che fa superare anche questi piccoli peccati veniali.
Stasera al Locomotiv c’era un caldo fotonico, ma anche una band fottutamente brava.
(Paolo Bardelli)
8 aprile 2011