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di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo
Boris ha rappresentato una delle punte di diamante della produzione televisiva italiana degli ultimi anni, un’autentica boccata d’ossigeno per chiunque cercasse un prodotto realmente originale e fuori dagli schemi: cinica e ironica nel raccontare il “dietro le quinte” di una orribile fiction – la leggendaria Gli occhi del cuore – , la serie di Fox Italia trasmessa su Sky ha saputo dare un volto alle contraddizioni della televisione nostrana, elaborando un fine congegno che unisce alla leggerezza e alla comicità un vivido gusto per il grottesco e una spiccata attenzione per i dettagli e le citazioni (cinefile e non solo).
Il pesce rosso più famoso dello showbiz approda nelle sale cinematografiche seguendo gli sviluppi della carriera di René Ferretti, regista televisivo ormai sempre più disincantato e inorridito dalle proprie produzioni, tanto che durante le riprese dell’ennesima fiction si ribella rifiutandosi di girare una sequenza a ralenti nella quale un giovane papa Ratzinger corre felice esultando per la scoperta della penicillina. Una volta abbandonato il set, quando ormai la sua carriera sembra bruciata definitivamente, il regista riceve l’incarico per un film d’autore “alla Gomorra” ovvero la trasposizione cinematografica del bestseller La Casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Per il regista de Gli Occhi del Cuore è l’inizio di una lunga avventura che lo porterà a confrontarsi – insieme alla sua storica troupe – con i meccanismi della produzione e con il substrato trash della società.
La trasposizione cinematografica cerca di mantenere lo spirito della celeberrima serie, dilatando i temi e gli spunti tipici degli episodi e adattandoli alle forme del lungometraggio: le classiche formule risolutive della serie vengono quindi riproposte fedelmente, nel tentativo di ricostituire gli equilibri dello schema televisivo, senza però dimenticare di creare una sceneggiatura fresca, la cui fruizione possa superare i confini dei target di partenza. Boris infatti è una commedia divertente, accessibile a un pubblico eterogeneo (il riferimento alla “grande commedia popolare” è costantemente sottolineato, con spigliato spirito di autocritica) e fondamentalmente ricevibile anche da chi non avesse seguito precedentemente le gesta di René & co.: i conoscitori della serie potranno altresì cogliere sfumature più sottili e rimandi meno espliciti che aggiungono spessore al tessuto narrativo della storia.
Presentato come “l’anti-cinepanettone”, Boris gioca con le forme dei cult-movie natalizi, esasperandone i connotati e finendo per sfruttarne addirittura alcuni: forse è proprio questo l’elemento che rende il film meno efficace del serial, là dove la vena primigenia del prodotto di tv va a plasmarsi sui cliché della comicità italiana più prevedibile, ammorbidendo talora il cinismo e il sarcasmo che lo caratterizzavano.
Il mondo dello spettacolo, spogliato dei suoi orpelli e delle sue patine glamour, rivela tutta la sua rude quotidianità, fra snobismi e nevrosi varie, ben riportati sullo schermo dalla penna caustica di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, i registi-sceneggiatori che dimostrano di saper tratteggiare senza esitazioni i compromessi e le incoerenze dell’ambiente cinematografico. Se però la prima parte del film – che si concentra sul primo approccio di Ferretti al cinema e sulle tragicomiche fasi iniziali della lavorazione della trasposizione de La Casta – è decisamente brillante e fluida, nella seconda parte – quella che prelude al finale – pare nettamente meno sfavillante e talvolta lo script sembra perdere la sua lucidità, cadendo non solo nella prevedibilità ma anche nella ripetitività. Malgrado ciò Boris si mantiene all’altezza delle aspettative, regalando un ritratto spassionato dei difetti del mercato cinematografico italiano, fra major produttive sempre più ingombranti e continui accenni alla cronaca politica (Stanis il divo vanesio cerca in ogni modo di ritagliarsi un ruolo nel film per portare sullo schermo Gianfranco Fini): bandendo ogni ipocrisia, il film tenta di dare un volto alla “rassegnazione al brutto”, cifra ormai apparentemente imprescindibile nell’approccio alla vita e all’arte nello Stivale. Senza incappare né nella volgarità bieca né in inconcludenti intellettualismi, il progetto mira alla combinazione fra divertimento e contenuto inanellando una serie di sequenze che fra le risate lasciano spazio sufficiente per una dissacrante e amara critica a un intero impianto culturale: il Boris cinematografico è senz’altro leggermente sottotono rispetto alla verve della serie, ma la nuova incursione nell’audiovisivo di Ferretti e del suo gruppo di lavoro – accompagnata come sempre dalle note di Elio e le storie tese, autori del brano principale della colonna sonora, Pensiero Stupesce – rappresenta un valido spaccato della disillusione e della precarietà, che non rinuncia mai all’autocritica e all’ironia.
(Priscilla Caporro)
3 aprile 2011