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L’”onnipotente” (tout-puissant) Orchestre Poly-Rythmo è da tempo un’istituzione in Benin. Dalla fine degli anni ’60, periodo in cui si è formata e nel quale ha accompagnato musicalmente la fase successiva all’indipendenza del Paese, rappresenta il ponte tra questa parte del continente nero e il resto del mondo. In una miscela di influenze tribali, funk, soul e afrobeat si concretizza una delle tante valide espressioni, in ambito musicale, di un continente ancora, per certi versi, non sufficientemente esplorato e conosciuto fuori dai circuiti ufficiali. In questo senso la Strut, negli ultimi anni, sembra essersi prefissata un obiettivo preciso: portare alla luce, promuovere e diffondere quei suoni, nella maggior parte dei casi di valore eccelso, provenienti dalle nicchie della periferia del mondo.
Questo “Cotonou Club”, registrato a Parigi con una line up che conserva cinque elementi della formazione iniziale degli anni ’60, due elementi entrati nella metà degli anni ’70 e tre totalmente nuovi, rappresenta il primo nuovo lavoro dell’ensemble negli ultimi venti anni. Un album composto da rivisitazioni di classici della formazione, inediti e collaborazioni importanti come quelle con Angelique Kidjo (già membro dell’Orechestre Poly-Rithmo), con Fatoumata Diawara e con la coppia formata da Nick MacCarthy e Paul Thomson, presa in prestito dai Franz Ferdinad.
L’operazione, senza voler essere superficialmente ripetitivi, risulta di grande impatto fin dal primissimo ascolto. Vivi, ricchi e coinvolgenti, pezzi del calibro di “Ne Te Facies Pas” e “Gbeti Madjro” possiedono, al pari di un profondo ed indissolubile legame con la terra di provenienza, la capacità di essere attuali e cosmopoliti. Un album, appunto, di funk e afrobeat, assolutamente ben suonato e, come nelle intenzioni del progetto, senza tempo.
72/100
(Tommaso Artioli)
14 aprile 2011