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To BE or (not to) B, forse i Be Forest omaggiano i Cure sin dal nome. Se lo fanno, mettono anche le mani avanti dichiarando che “A Forest” è un modello quasi inarrivabile. Eppure, potrebbero permettersi di essere meno modesti. Esordiscono con “Cold” che è un album breve, una manciata di secondi oltre la mezz’ora, e sorprendente. Esistono sì e no da un anno e hanno già una capacità di scrittura concreta e matura. Giocano con pochissimi elementi e suoni, percussioni martellanti che raramente coinvolgono i piatti, chitarra riverberata, basso gorgogliante. Tre elementi asciutti, minimali, bilanciati e dialoganti tra loro. Sopra, voci sfuggenti, arabeschi misteriosi tra andamenti tribali, il freddo verdeggiante di un giardino in inverno o di una foresta, appunto. Riecco i Cure, quelli tra “Seventeen Seconds” e “Faith”. In più la malizia a tratti sardonica di Siouxsie, stemperata dalla soavità di Liz Frazer. Più di recente, gli XX avevano giocato con un equilibrio così essenziale e scarno di elementi, ma con meno impeto.
Tutto il disco è bilanciato e nessun brano è meno che pregevole. Uno però svetta decisamente e ne diventa il manifesto, quella “Florence” percorsa da scosse elettriche, scrosci energici e da una melodia intensa, epica, emotiva. Questo è un brano degno di giocare in serie A e pure di guadagnarsi una qualificazione in coppa contro squadre più titolate di Brooklyn o di Londra. I nostri, invece, vengono da Pesaro. Qualcosa sta succedendo, da quelle parti, ed è proprio il caso di mantenere le antenne in quella direzione. Intanto, che i Be Forest diventino una stella del panorama indie (glielo auguriamo) o che rimangano una splendida meteora nostrana, a noi rimane un disco che è veramente un piacere ascoltare in un pomeriggio di pioggia. Ottimi.
75/100
(Lorenzo Centini)
16 giugno 2011