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C’è qualcosa che non va, ma non riesco a decifrare il dubbio che mi assale; i Black Lips sono delle carogne travestite da iene che posano sulle riviste patinate e al contempo suonano nudi, si urinano addosso e si dissetano (come nella migliore tradizione punk) con la loro saliva. Suonano nei posti dimenticati da Dio a volumi scellerati e gonfi di tequila (qualcuno si ricorda “Los Valientes del Mundo Nuevo”, un’esibizione dove si poteva sentire l’odore di alcool e le lamine dei coltelli che tendono fendenti nel vuoto?) e allo stesso tempo chiudono in bellezza festival giganteschi dove il loro garage sporco assume sembianze di rock da stadio. Come facciano e il perché un gruppo così zozzo sia arrivato così in alto ancora non mi è chiaro, ma indubbiamente possiedono la scintilla, il “sacro fuoco” e la fiamma che arde per il rock’n’roll, con i quale i quattro disgraziati hanno sicuramente deciso di (con)vivere. La scelta azzardata di ricorrere ad un produttore di grido quale Mark Ronson (Amy Winehouse) potrebbe suonare come una provocazione, invece nulla cambia se non una maggiore edulcorazione alle comunque già acide caramelle garage pop del gruppo.
Sento comunque puzza di bruciato ma il mio forno è vuoto e i fornelli sono spenti. Allora mi metto a controllare le eventuali “perdite” del nuovo “Arabia Mountain” e il mio dubbio continua ad essere persistente. Suona difatti benissimo questo connubio di 60, jingle cotonati e garage psichedelico con influenze sixties e nell’insieme, nonostante una maggiore propensione pop e una rilassatezza che non intacca la contagiosità dei brani, manca qualcosa. Che continuo a cercare come oro nei fiumi, armato solamente di un setaccio. Le pepite che raccolgo sono però poche e fra queste spiccano “Bicentennial Man”, la contagiosa “Family Tree” e “Modern Art” (perle che non avrebbero sfigurato nelle compilation Nuggets) ma non trovo nulla che minimamente rimandi a brani incendiari e “globali” come “O Katrina”, “Bad Kids” e “Cold Hands” presenti nel quarto disco datato 2007 “Good Bad Not Evil”. Arrivati quindi al sesto disco i quattro delinquenti di Atlanta continuano nella loro marcia verso la notorietà, incuranti delle abilità musicali apprese e desiderosi di contagiare più gente possibile. Anche con il freno a mano tirato.
60/100
(Nicola Guerra)
23 giugno 2011