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Dorian Gray, ovvero il gruppo che visse due volte. Perché l’avventura iniziata nel 2008 con l’uscita dell’ottimo “Forse il sole ci odia” equivaleva in tutto e per tutto a una nuova vita. Dopo aver segnato una storia importante, anche se di nicchia, nella scena alternativa italiana degli anni ’90, la band cagliaritana si era definitivamente sciolta dopo “Il veleno della mente”, terzo capitolo di quella fase. Il nome Dorian Gray in quegli anni ha circolato parecchio nelle riviste specializzate e dischi come “Matamoros” sono stati apprezzatissimi dalla critica e probabilmente avrebbero meritato maggior fortuna presso il pubblico. Nel 2008, dunque, il gruppo torna sulle scene ma in una veste completamente nuova. Della formazione originaria rimane solo il cantante Davide Catinari, mente e anima di questo progetto musicale. Anche l’approccio musicale cambia, e il lavoro del 2008 targato Dorian Gray rende finalmente giustizia a quelle capacità creative già espresse in passato.
Il legame più evidente con i Dorian Gray degli anni ’90 rimane quello dei testi che non perdono assolutamente di fascino e qualità. La “nuova linfa vitale” ha portato ora Catinari e gli altri cinque musicisti al secondo disco del nuovo corso (o quinto in totale, a seconda dei punti di vista). “La pelle degli spiriti” è prodotto dallo stesso cantante e da Andrea Viti (già bassista degli Afterhours) e riprende un po’ le atmosfere del suo predecessore, anche se con aspetti diversi. Inoltre è arricchito dall’artwork dell’illustratore Manuele Fior. E’ stato registrato per intero in un teatro, quasi in presa diretta, fatto che ha apportato notevoli benefici al sound. L’atmosfera generale dei nove brani che compongono il disco appare più solare, abbandonando le tonalità chiaroscuro di “Forse il sole ci odia”.
Il risultato è un lavoro senz’altro molto immediato che riesce a fare subito presa nell’ascoltatore. L’apertura di “Fanfara fredda” mostra subito un suono più compatto, che guarda al rock come alla new wave. La stessa impressione viene data da “Quinto stato” o “Berlino non va bene”, brani che si alternano a momenti più riflessivi, come “Desert Storm” o la conclusiva “Dhyana”. Niente di urlato e rumoroso però; la musica dei Dorian Gray continua a parlare e descrivere attraverso la forza delle parole.
80/100
(Francesco Melis)
29 giugno 2011