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Per il secondo album in carriera, i bolognesi Joycut hanno messo in piedi un progetto ricco di ambizioni. La band, da sempre interessata a tematiche di ordine ambientalista, ho deciso infatti di mettere ancora più al centro delle proprie attività la questione ecologica. Il nuovo album (una cui anticipazione è stata resa disponibile in formato ep sul numero di Xl di giugno) è stato registrato da Jason Howes (Bloc Party, Hot Chip, Art Brut, Arctic Monkeys) al Premises Studio di Londra (alimentato esclusivamente ad energia solare) e ogni componente del packaging (dalle colle agli incartamenti) è stato prodotto con materiali riciclabili del tutto ecocompatibili in stabilimenti che rispettano le soglie europee di emissioni CO2 e lavorano su prodotti provenienti da foreste correttamente gestite. Più che un album, insomma, un atto militante di responsabilità terrestre, al quale va tutto il nostro supporto spassionato.
Per quanto riguarda invece il lato più musicale e poetico della faccenda (che non può comunque essere scisso dai convincimenti etico-politici della band), i Joycut continuano la loro personale esplorazione a largo raggio di territori post-punk rivisitati con un certo gusto melo e un tocco sempre più epico e volutamente maestoso. L’amore per Depeche Mode, Ultravox, così come per Danse Society, Sound, Names, U2, Joy Division (e catalogo Factory a seguire), si ritraduce in un suono plumbeo e freddo, arricchito da synth e orchestrazioni cinematiche che dipingono una desolazione allucinata da dopobomba cibernetico in odore di Vangelis. Va detto che il gruppo, a fronte di un suono forse troppo ubbidiente ai suoi riferimenti dichiarati, dimostra un’apprezzabile abilità nel confezionare canzoni che restano impresse senza difficoltà e si lasciano godere per la loro scrittura equilibrata e capace (“Clean Palnet”, “W4U”, la strumentale “Deus” o “Liquid” che farebbe gola agli ultimi Interpol).
Non resta dunque che seguire le gesta di Mr.Man, alieno umano troppo umano (protagonista anche di un fumetto) che si aggira per un mondo devastato e irriconoscibile in cerca di ossigeno, fino ad imbattersi nella foresta degli alberi fantasma che da il titolo al disco, “l’unico non-luogo da Evocare. La sola linfa da sfrondare. Per Svanirci.Disintegrandosi di Vita”, come dice la stessa band in gergo quasi heiddeggeriano…
72/100
Francesco Giordani
22 Giugno 2011