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Ancora tipicamente brash & vulgar come da rivendicazioni precedenti, sempre a rimorchio del tanto caro immaginario vintage-porno (buttate un occhio a qualche artwork), tornano a piazzare l’ordigno Crnobrnja e Gloor, stavolta a quanto pare ispirati dalla New York ‘70/’80 quale luogo ideale e principale punto di riferimento per imbastire la loro operazione di allucinato riciclaggio sonoro marchiato Codek.
La scena apre urbana sull’asfalto caldo, è un attimo che sei già strattonato e sbattuto giù dal marciapiede fra gas di scarico footsteps e auto che rombano, una scarna minimale dove la voce psicotica di qualche invasato trova un senso solo nel torbido e nel malato di un invito al peggio (“Worse for Wear”). Come dei Suicide presi male più del dovuto eccitati da dosi Neu! non meglio precisate, il tutto in grandiosa ipotesi space-funk con le budella ancora sparse per la strada. E’ “Prelude to Chaos”, il richiamo all’ordine prima del rompete le righe perché sta a vedere che questi pazzi ora sciolgono i dobermann e sono cazzi per davvero e sono giganteschi bassi funk a tutta pompa, baby (come on), erotismo e deboscia nelle voci sexy e negli inserti spoken di “Hallow Discourse”.
Una visione comune per due sguardi che quasi mai si sono incrociati nella lavorazione in studio – Sasha con base a Londra e Alex di stanza a Basilea – ma la risultante è comunque un carico adrenalinico a rilascio controllato che può mandare in cut-up facile quel falsetto paraculo e tutta una serie di echi riverberi e tastierismi a organizzare la festa per quello che ha tutta l’aria di essere un altro memorabile addio al cervello (“Latter Day Methods”). L’ambientale “On the Fringe” è sulle stelle, il taglio si fa quasi cinematico ma sempre con quello sguardo minaccioso, mentre l’accoppiata “Three-Piece Suite”/”The End Of The Road” è roba cosmica che gira a spirale su un mood Lcd 45:33 con la seconda nel momento più spiccatamente tech-house, un pilota automatico a coprire le distanze rimaste. La nu-disco di “Peculiar Protagonist” vibra ancora in dimensione kraut, ed è un cazzo di incipit infinito avviluppato nei soliti/solidi giochi ritmici da perdere la testa, tutto un taglia-e-cuci che incalza up-tempo fino alle estreme conseguenze. Un cecchino è appostato al secondo piano di un vecchio deposito nel momento in cui scorrono le suggestioni electro-jazz e le pulsazioni deep degli ultimi celebrativi frammenti sonori, ora già minuscole scintille dietro a una scia luminosa e accecante che ha tagliato in due la notte.
85/100
(Antonio Giovinazzo)
26 luglio 2011