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“Il bene e il male esistono come sono sempre esistiti: ascolta i Dead Skeletons”, recita lapidaria la loro pagina web, macabro compendio di teschi, cadaveri, madonne deformi, epidemie, simbologie medievali, salme, cristi e bad-trip lisergici.
Era da tempo che un fenomeno nato sul web non raccoglieva così tanta attesa e curiosità. Eppure i Dead Skeletons del classico hype indipendente contemporaneo hanno nulla. Un nome da ridicoli nostalgici grind. Un’iconografia a dir poco cimiteriale. Titoli e rimandi tra Grateful Dead e stereotipo di band norvegese black metal. Né la provenienza aiuta a decifrare il senso del tutto. Perché l’Islanda è solita abituare l’ascoltatore a gruppi che piacciono alle mamme. E questi Dead Skeletons di sicuro non piaceranno alle mamme. Affatto.
Nonni Dead, Henrik Bjornsson, Ryan Carlson Van Kriedt sono i torvi proprietari di un emporio chiamato non a caso “Death”. Presto rendono gli happening del locale uno degli eventi più cool nei bui inverni di Reykjavik. Sarebbe stata la diagnosi del virus HIV per uno di loro a trasformare il progetto in un più viaggio più approfondito nelle sonorità delle tenebre. Anacronistico e al contempo catartico. E finalmente arriva il primo LP, dopo un tam-tam di due anni che segue la pubblicazione dell’inquietante “Dead Mantra”, un martellante sabba in otto minuti.
L’esoterico, a partire dalla copertina, “Dead Magick” è pubblicato unicamente in doppio vinile. A ridosso di agosto, un fulmine nel cielo sereno della rassicurante Islanda estiva scuote una scena musicale che sembrava ormai aver dato tutto.
I monaci del tempio della morte, come si definiscono i tre, riescono a realizzare un concept in due parti, esaltante e convincente come quelli dei bei tempi che furono. Spacemen 3 e Suicide i patri putativi sacrificati sull’altare del goth per un lungo viaggio nell’oscurità che attraversa la psichedelia più nera passando per i rumorismi anni ’80 figli della wave meno perbenista di Killing Joke e Swans (“Kingdom Of God”, “Psychodead”).
Incessanti fughe in Re minore al diazepam (“Dead Magick I” e “Get On The Train”) tagliano un’aria resa irrespirabile da perfidi organi e vaporosi drone.
Trascinati dagli Spacemen 3 nell’other side di “Perfect Prescription”, i Dead Skeletons ridestano il lato oscuro della scuola psichedelica in un’Islanda-paradiselost mai così persa e perduta. I ruvidi suoni della parlata islandese (tuttavia anche loro, come i Sigur Ros, sembrano servirsi di un linguaggio improvvisato) finiscono per accostare le acide suite psichedeliche dei tre agli Einsturzende Neubauten nel rito tantrico di “Ljosberinn” e “When The Sun Comes Up”. Nenia da New York fine anni Sessanta, dal titolo beffardamente ottimistico. Il sottotitolo è infatti “For The Last Time”. I Dead Skeletons sembrano sguazzare con distacco e sogghignanti in queste eccentriche wonderland infernali.
“Yama” li presenta definitivamente a Black Angels, Brian Jonestown Massacre, Wooden Shjips, Psychic Ills, Warlocks e compagnia oscura, nelle vesti di delegati scandinavi al filone. Anche se i tre islandesi sembrano sentirsi più di loro orgogliosamente parte di un mondo così alieno e demodé, fatto di scheletri, ricette esoteriche, studi su atomi carbonici e svastiche (vedi sito ufficiale e myspace).
Le visioni di “Dead Magick II” chiudono il cerchio nel modo più degno e prevedibile. Il delirante brano conclusivo decide di implodere invece di deflagrare, finendo per inghiottire ogni frastuono in uno spettrale silenzio cosmico. Da distopici scenari di una Reykjavik malata e metropolitana a un ancestrale paradiso tibetano.
Il viaggio di questi tre anomali ghost rider contemporanei sembra solo all’inizio.
87/100
(Piero Merola)
29 Luglio 2011
1 Comment
Anacleto
Fantastik!
85/100