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“Contrariamente a quanto si crede di solito, la periferia non è il luogo in cui finisce il mondo, è proprio il luogo in cui il mondo si decanta. È un fenomeno che riguarda la lingua non meno che l’occhio”. Con queste parole Josif Brodskij cercava di definire la poesia dell’amico caraibico Derek Walcott e potrebbero tornarci utili anche ora, per capire che cosa abbia spinto i Desert Motel a scrivere e suonare il loro album di debutto. Aprilia (dove vive sia la band che chi scrive) è una città a suo modo stranissima, con una vocazione insopprimibile da piccola metropoli industriale mancata, un sogno interrotto (forse mai davvero iniziato) di progresso e ricchezza che si trova incastrato al centro di una pianura essenzialmente a trazione agricola. Una città che della provincia ha ereditato il tratto caratteristico: quello cioè di essere uguale a tutte le altre province del mondo, senza nessuna eccezione, un luogo remoto (per quanto vicinissimo a qualsiasi altra cosa) dove tutto arriva come attutito e già consumato, passando attraverso la nebbia di un’estenuazione necessaria.
I Desert Motel, che sono in quattro, hanno pensato bene di registrare (e produrre) le dodici canzoni che compongono “Yarn” nello studio di loro proprietà, assecondando le movenze di un sogno privato che nel tempo ha saputo nutrirsi di fonti disparate: dall’alt-country di Wilco e Okkervill River al power pop dei My Teenage Funclub, passando attraverso suggestioni che un tempo avremmo probabilmente definito “paisley underground”. Il risultato è un collezione di brani eleganti e leggeri, spesso fasciati nel tessuto di orchestrazioni sobrie ma al tempo stesso ricche di dettagli e colori. È così, in maniera sorprendentemente naturale, che si srotolano le melodie di “Paperstars” (tra le migliori), “Valentine’s Gone” o “Something”, accarezzate da una felicità luminosa e da un suono caldo e croccante che sa farsi più ispido in “Flowers”, o spirituale, fin quasi al respiro, in “Let It Shine”. Se dunque la provincia è la fine o, meglio ancora, il confine, il bordo scucito della coperta, seguendo il filo rosso (letteralmente) che attraversa “Yarn”, vien quasi da pensare che questo confine sia o possa essere anche l’inizio di tutto quello che comincia subito dopo la fine. Qualcosa che si può soltanto intravedere. Ebbene, potremmo sbagliarci come tante altre volte, eppure sembra proprio che questo dei Desert Motel sarà un ottimo inizio. Del resto come ci dice “Summer/ Fall” : “Piecing back the nest/ melt down any inscrutable armor/ smile a little more/ we’re supposed to live another life/ my friend//come summer again”.
77/100
(Francesco Giordani)
21 settembre 2011