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Ironia e sgangherato senso del mal di vivere, sono stati i protagonisti di quella sorta di cantautorato lo-fi che ha contraddistinto la cifra stilistica di Bugo sino al doppio “Golia E Melchiorre”, vetta qualitativa della sua produzione tutta e spartiacque tra le fasi della sua carriera. Evidenziando come il secondo cd del disco appena citato – “Che Diritti Ho Su Di Te” e “Rimbambito“ sono pezzi da cuore grondante sangue nero in mano – nella sua disperata dimensione acustica da “chitarra/voce/vita”, sia modello e, ancora ora, prova superiore a quelle dei tanti che, di recente, si sono infilati nei panni del cantautore che grida la sua rabbia nel microfono mentre strimpella una sei corde, ciò che rende Cristian Bugatti musicista “vero”, vitale e lontano dalle blandizie del successo del momento, è l’innata capacità di reinventarsi ad ogni uscita. Da “Sguardo Contemporaneo” in poi, stili, temi, persino produttori diversi (Canali per “Sguardo Contemporaneo” , Stefano Fontana/Stylophonic per “Contatti” e Saverio Lanza per questo disco) si sono alternati al servizio di una poliedrica e goliardica fantasia, musa di buoni dischi, magari non del tutto centrati, ma dotati di carisma e pezzi importanti (“Love Boat” o “Che Lavoro Fai”, per citare i più conosciuti), osservazioni della realtà via via più amare e meno velate dell’ironia guascona degli esordi.
“Nuovi Rimedi Per La Miopia” è una sorta di altra boa, ennesima rinascita e punto di ripartenza di chi non ha ceduto di un millimetro alla maniera. Ancora una volta non è un centro perfetto, non è il disco della vita, ma inanella quel gruppetto di pezzi che dimostrano solidità di scrittura e caleidoscopica inventiva: spiccano l’incisività melodica e l’arrangiamento sfaccettato de “I Miei Occhi Vedono”, l’amarognolo synth pop “Il Sangue Mi Fa Vento”, il rock’n roll esistenziale “La Salita” o la folle tamarrata dance di “Lamentazione Nr. 322”. “Nuovi Rimedi Per La Miopia” racchiude in sé il meglio (o quasi) delle strade intraprese finora, sorta di combinazione di sintesi rock allargata a stratificazioni elettroniche e curiosi alambicchi sonori e, nonostante alcuni eccessi pretenziosi che mostrano il fianco a ripetitività e pomposità, si lascia amare e non spegne la curiosità per vedere “come andrà a finire”.
70/100
(Giampaolo Cristofaro)
29 novembre 2011