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Il pluri affermato Dj, produttore e feticista di impianti elettro Richard Melville Hall, in arte Moby, ha composto questo lavoro durante l’ultimo tour mondiale e sostiene di aver preso la catartica ispirazione dall’insonnia che spesso lo ha costretto a stare sveglio la notte, in mille città diverse. Quel che Moby avrebbe voluto dire forse è che delle città ha visto, ha voluto vedere solo il lato globalizzato – luci al neon, aereoporti, Mc Donald’s e via discorrendo – luoghi e atmosfere che solo un Charles Bukowski potrebbe riuscire ancora a rendere innovative e affascinati.
Sì, perchè quel che sicuramente emerge dalla leggera brezza di questo ultimo lavoro di Moby, è l’assoluta risolutezza con la quale il buon vecchio dj e produttore newyorkese ha affinato un prodotto perfettamente conforme alle logiche di mercato. Ma non è questo il problema di un album come “Destroyed”, bensì la carenza di originalità e la ripetizione di un sound ormai collaudato che non lascia trasparire nessun orizzonte concettuale. Sedici tracce perfettamente assemblate su sonorità ambient e elettroniche, definite dallo stesso Moby una colonna sonora per città vuote alle due di notte, e tutte tese nella trasfigurazione di questa atmosfera.
In generale l’intero album sembra essere un sunto di musica da sottofondo per aereoporti e luoghi decadentemente globalizzati. Anche se qualcosa di buono c’è in “Destroyed”. Ed è semplicemente il mood e lo stile che Moby sa dare ai propri lavori. Atmosfera intrisa di nocturne per cattedrali, pezzi attraversati da tratti eterogenei che vanno dalla house classica, al jazz psichedelico fino ad alcune rock-ballad. Il tutto miscelato con un fondamentale ingrediente che ne decreta la parvente riuscita, ovvero la semplicità. La semplicità di accordi, la semplicità compositiva, la semplicità d’ascolto. All’ascoltatore infatti, viene lasciato il compito di decretare positivamente o negativamente questa caratteristica con cui Moby ha voluto inondare “Destroyed”.
45/100
(Eleonora Ferri)
19 novembre 2011