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Innanzitutto c’è da gioire per la scoperta del Muzak, finalmente un locale a Roma dove ascoltare r’n’r senza temere di fare la fine dei sorci intrappolati in una fossa tre metri sottoterra. Ci arrivo costeggiando il museo di arte contemporanea alloggiato nell’ex mattatoio fatiscente, in un punto della città in cui si incrociano studenti di architettura, gente vestita per una serata elegante, parcheggiatori abusivi, i frequentatori del vicino centro sociale Ararat e qualche auto parcheggiata lontano dalla vista coi finestrini appannati. Il locale si trova al fianco di un night da movida romana che davanti ha tre buttafuori che da soli hanno più massa muscolare di tutti quelli che trovo intenti a fumare lì a due passi, fuori dal Muzak. In media, gente vestita di scuro e magra come un dopoguerra (con alcune eccezioni, ovviamente).
Dentro ci sono gli Intellectuals, per il check. La sala è una grotta scavata in pratica tra i detriti del monte dei cocci e al lato opposto del palco c’è l’ingresso vetrato sulla strada ed è una sensazione davvero piacevole per chi soffre di claustrofobia (come dicevo all’inizio). Quando salgono sul palco per fare sul serio (alle 23:40, capisco il r’n’r, ma siamo pure in mezzo alla settimana!), i quattro padroni di casa sparano una mezz’ora abbondante di punk-garage sgangherato, con le sue venature synth-psych e un basso spesso tanto così. Ottimi, ma si vede che a suonare davanti agli amici si sono un po’ rilassati. Da rivedere, possibilmente in trasferta a giocarsi il tutto per tutto. Quando poi è il turno dei torinesi, la sala non è veramente piena, ma tutti quanti siamo addossati lo stesso al palco alto una ventina di centimetri come se non volessimo perdere un solo goccio di quello che ci si riversa addosso all’accendersi delle polveri.
A proposito, breve digressione, mi rivolgo a quel tipo alto due metri coi capelli a metà tra Rob Tyner e Caparezza, che se ne stava al centro, a un metro dal palco, a registrarsi beatamente il suo bootleg: ti ho già visto un mesetto fa al Dal Verme quando c’erano i J.C. Satàn e anche là te ne stavi davanti a tutti tagliando fuori mezza sala e costringendo quasi tutti a sentirsi il concerto guardando la tua schiena. Ti costa tanto metterti al lato della sala e far vedere un po’ anche gli altri, come fa anche chi non ti arriva nemmeno al mento come il sottoscritto?
Le polveri, dicevo, accese con la miccia corta e subito deflagrate nella cantina, i barilotti di Pietro Micca usati come candeline per la torta della festa di compleanno di Nicola Caverna. I cinque tirano fuori più orrori che a teatro, violenti come se dovessero saltarti col coltello alla gola e disperati come se avessero troppi peccati sulla coscienza e troppo poco tempo per confessarli tutti, dettano il tempo incessantemente, senza pietà, tirano fuori da un rullante tutto quello che può dare, martoriano le corde delle chitarre. Stefano Isaia si agita, si arrampica sulle spie e poi striscia tra il pubblico, si aggroviglia con il cavo del microfono, batte le mani come uno sciamano e poi sputa la birra a fontana. Ogni tanto si avventa, con la catenina che ciondola fuori dalla maglietta, su un organo arancione con l’etichetta “Jesus é o segredo do meu sucesso” e ne tira fuori stridori acidi e poi letteralmente lo calpesta per la foga.
Ancora più bui dei Twilight Singers e più sporchi dei Grinderman, più esoterici di Om e compagnia bella, fossero anche solo la backing band di un qualunque maudit della canzone americana farebbero mordere la polvere a molti. E invece hanno un repertorio di storie potenti e canzoni dagli sviluppi pazzeschi. Su tutte, forse, quelle dell’ultimo ep “In A Night Like This” sono quelle che fanno venire ancora più sete. Dal vivo sono un’esperienza di perdizione da non perdere, per nessun motivo, blues marcio da balera e punk suonato da gente coi baffi di Gaetano Bresci. Andateli a sentire, ma siete avvertiti: potreste andarvene esasperati con le orecchie che fischiano, uno strano magone e un groppo allo stomaco. Non sono per niente rassicuranti, i Movie Star Junkies, non sono un gruppo da intrattenimento. Sono la notte.
(Lorenzo Centini)
13 novembre 2011
9 Comments
Bob
ehi amico sei a un concerto di roba zozza mica a teatro col biglietto numerato. cmq basta dirlo
PS i bootleg non sono per piacere personale, ma li mando ai gruppi, a cui in genere piace riceverli e ascoltarsi il concerto.
magari si potrebbe anche fare una collaborazione se ti interessa
Lorenzo Centini
Ciao, Bob, no, quale biglietto numerato, però, davvero, sei alto come una montagna e dietro di te c’è gente che si deve mettere sulle punte per provare a vederci qualcosa…
Comunque, scusa per il “Caparezza”, mentre il “Rob Tyner” credo sia un grande complimento.
E non c’era nessuna accusa nel fatto di registrare bootleg, anzi, è un’iniziativa sacrosanta e benemerita.
Una collaborazione con Kalporz? Mi sembra una grande idea! Ehi, Bardelli, che ne dici, inauguriamo le “Kalporz Sessions”?
tab_ularasa
Il recensionista embra un giornalista della nazione regionale di firenze!
La prossima volta portati dietro il GPS e magari dovresti smettere di leggere famiglia cristianal!
tab_ularasa
Tanto prima o poi adesso che hai imparato che ci sono concerti r’n’r in giro ti si ribecca e ti riconosceremo c’hai detto sappiamo che non sei molto altro..così ti prendermo in collo o sulle spalle così potrai vedere meglio il tuo bel concertino notturno!
lorenzo centini
Per tua informazione, Tab: non mi ero perso e non ho bisogno di GPS, famiglia cristiana e nazione semmai te li leggerai te (dato che sei addirittura in grado di riconoscerne ipotetiche influenze su quello che scrivo io) e qualche bel concertino è da un po’ che me lo sparo senza che ci sia qualche capoccione come te che deve farmi da guida illuminata o insegnarmi qualcosa.
A parte questo, raga’, se non si era capito, è una questione di un minimo di altruismo e rispetto per gli altri che assistono allo stesso concerto e vogliono goderselo senza qualcuno che ti taglia fuori, o si mette a pogare coi gomiti alti, o risponde al telefono, o commenta a voce alta ogni cosa. E per favore non tiriamo più fuori l’idiozia del “siamo ad un concerto rock, mica a teatro”, a meno che non si frequentino ancora le scuole elementari infilandosi le dita nel naso per sentirsi punk.
Redazione
@Lore: queste ipotetiche Kalporz Sessions mi sembrano più delle Illegal Sessions… I bootleg sono come la droga, sono legali solo per dose personale.
Lorenzo Centini
Hai ragione, Paolo. Noi di Famiglia Cristiana siamo contro l’illegalità (e l’immoralità del rock).
tab_ularasa
altruismo sempre e comunque evviva pavorotti and friends ma soprattuto la musica scaricata e libera e anche gli ingressi liberi…la prossima volta lorenz ti offro da bere mi puoi riconoscere ho una banana attacata al giubbotto e non e’ quella dei velvet underground!
Lorenzo Centini
Mi sembra una buona idea, ma il secondo giro sta a me, ok?