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Il campo d’azione di Daniel Lopatin è ormai risaputo. A prescindere da quanto può piacere o meno il mondo fittizio dell’hypnagogia, con il progetto Oneohtrix Point Never, Daniel ha da sempre optato per quel versante del fenomeno che ricicla stilemi new age, musica concreta, tastiere a pioggia, ma con un approccio più arty, finalizzato al cesellare suggestioni e frammenti di pura poesia sonora, alternati a momenti in cui però sembra innestato il pilota automatico di “non genere”. Da disco a disco – o anche all’interno di uno stesso disco – infatti l’alternanza qualitativa è finora stata una costante.
Con “Replica” però ci dice bene, perché al di là della strumentazione utilizzata, al di là del ricorso tematico al loop e a suoni che sfociano inevitabili nel campo dell’onirico e dell’indefinito, il sentimento che predomina è di quelli fascinosi e vitali. Ogni pezzo (e pezzettino) di “Replica” proviene da campionamenti dall’origine più disparata, a forgiare una onda totalitaria di reminiscenze e ricordi a guisa di note, inserti pianistici, landscape da installazioni artistiche. Essersi accasato presso la Mexican Summer e aver scelto Joe Lambert (già al lavoro con Dirty Projectors, Animal Collective e Dan Deacon) non ha causato sterzate furbette (per quanto la stessa materia di ogni composizione di Lopatin conservi in sé un pizzico di furbizia) realizzando un disco affine alle meraviglie di casa Ghost Box, piuttosto che al dilettantismo di progetti analoghi o perlomeno affini in quanto a metodologie e fini artistici.
“Replica” infonde benessere, piacevolezza, un senso del compiuto che non è così facile da raggiungere in questi ambiti, nonostante difetti di quel colpo di scena, di quella zampata di classe, tale da renderlo il miglior disco a nome Oneohtrix Point Never. La strada intrapresa, però, pare la migliore.
72/100
(Giampaolo Cristofaro)
12 dicembre 2011