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Torniamo in Egitto, anche perché fa sempre bene, in periodi di tensioni e repressione, dare spazio a chi lotta per far sentire la sua voce… in questo caso, letteralmente.
Dal Cairo ci spostiamo ad Alessandria.
Che non sarà gigante, né tentacolare, né straripante, né centrale nella vita del Paese quanto la capitale, ma che in compenso vanta una storia di dodici secoli più antica, seppur intangibile perché sepolta in mare, un ruolo culturale di primo piano che si riallaccia addirittura alla biblioteca perduta contenente tutto il sapere dell’antichità (e scusate se è poco), una grande tradizione di apertura e cosmopolitismo e, last but not least, una posizione invidiabile sulla costa mediterranea e un cielo terso che mette sicuramente più di buon umore della cappa di smog e sabbia del deserto che avvolge Il Cairo.
Insomma il fermento, dal punto di vista artistico, si sente quanto e più che nella capitale.
Per introdurci alla vita cittadina fa al caso nostro questa canzone dei Nosair, “Ahlan biko fe Iskndrya” (“Benvenuti ad Alessandria”):
Con questa si apre il film “Microphone”, del 2010, seconda regia per Ahmad Abdalla, menzione speciale al Medfilm Festival, il festival di cinema del Mediterraneo la cui XVII edizione si è appena conclusa a Roma. Nel traghettarci dal Cairo a questa realtà urbana semisconosciuta recita, tra l’altro, in un ruolo secondario accanto al protagonista, interpretato da Khaled Abol Naga, Hany Adel, cantante e chitarrista della più importante band cairota, Wust el Balad.
Un po’ come “I gatti persiani”, ma ambientato in Egitto, il film è in bilico tra la narrazione delle storie dei protagonisti e il documentario, che approfondisce la reale scena musicale della città. Organizzare un grande concerto diventa un’impresa quando il consiglio artistico nazionale esclude sistematicamente da ogni iniziativa i gruppi che cantino testi critici verso il governo, preferendo la solita cover band di Umm Kulthum (la più grande star della musica egiziana ed araba in generale, morta nel 1975), o quando lo spazio scelto per l’allestimento del palco è reclamato da una piccola folla di cittadini musulmani particolarmente ferventi (“Non potete suonare qui! Noi qui ci preghiamo!”).
Nonostante tutto, e nonostante ci sia chi lascia e parte per scenari meno soffocanti, si nota da parte dei musicisti una gran voglia di restare e di conquistare un pubblico crescente proprio grazie ai legami col proprio territorio e a testi che parlano della realtà del luogo in cui vivono. Non a caso, il microfono della locandina del film ha le radici. Inevitabilmente, se parliamo di testi a sfondo politico e sociale, risalta la scena dell’hip hop e del mondo ad esso correlato (…ma perché, ci sono skater e graffitari in Egitto? Certo che sì; tra l’altro le tag e gli stencil in alfabeto arabo sono spettacolari!).
Oltre, quindi, a gruppi come i già citati Nosair, vera star di Microphone è la Y-Crew. Come mostra il video di “Ehna zahma”, con scene tratte dal film, nonché il testo stesso della canzone, forte è la volontà di esprimersi al di fuori dei pochi, stretti, per non dire inesistenti, spazi consentiti: bastano strumenti e amplificazione, e un concerto improvvisato per la strada attirerà spontaneamente una folla festante, tanta è la fama degli artisti “sul campo”.
Un pezzo decisamente politico è “Mashru’ S” (qui con sottotitoli):
Ma non solo di hip hop si parla. Ecco apparire un gruppo metal al femminile, le Mascara – nome che non deve rassicurare sulla natura frivola e femminea della band, in quanto pare stia per “massive scar era”, in riferimento alla violenza dell’era in cui viviamo. Il nucleo stabile è formato da due ragazze, una chitarrista e vocalist e una violinista; accanto a loro si sono avvicendati altri membri (solo dal 2009 anche maschi). Suonano ai festival all’estero, ma nel film non appaiono mai le loro facce – anche al momento di suonare, lo fanno col viso dipinto di nero – perché i genitori non vogliono che qualcuno le riconosca. E cantano in inglese, o canterebbero in inglese, ma visto il veto del solito consiglio artistico nazionale, nel film le vediamo tirare fuori il loro unico pezzo in arabo, “Ab’ad makan” (“Il luogo più lontano”), di argomento sentimentale:
Ma, giusto per capire, ecco uno dei loro pezzi più famosi, in inglese e “leggermente” più aggressivo:
E concludiamo il tour con la canzone più accattivante e forse più rappresentativa di “Microphone”, un brano rock/jazz dei Massar Egbari (“Percorso obbligato”, cioè quello imposto da una società opprimente), dal titolo “E’ra el khabar” (“Leggi la notizia”), il quale, oltre a incarnare sia nel testo che nella musica la tipica propensione egiziana a fare dell’ironia anche, e soprattutto, sull’orlo del dirupo, forse in alcuni punti ricorda qualcosa anche a noi. La canzone ci dice che le pagine dei giornali sono fitte di annunci per gente laureata, che sappia le lingue, che suoni uno strumento… peccato che i lavori offerti non siano altrettanto qualificati. Chi decide di emigrare, in compenso, realizzerà i suoi sogni conseguendo un dottorato… in lavaggio dei piatti.
(Luce Lacquaniti)
Collegamenti su Kalporz:
Speciali – Rock the casbah – In ogni strada d’Egitto (01.03.2011)
Caspiterina! – Una moderna “Fischia il vento” iraniana (24.06.2009)
Foto di Mara Barbieri
2 dicembre 2011