Il post-Novecento: Kuedo e Roly Porter

3 Comments

  • Anacleto
    Posted 09/01/2012 at 16:35

    Boh sarà, ma in kuedo ci vedo solo del gran retrò (ed è per quello che lo apprezzo), come suoni e come riferimenti (aka plagi): Low (vedi a new career in a new town), vangelis di blade runner, massive attack.
    Per il resto è interessante il post, mi chiarisce il modo che molta gente ha di porsi all’elettronica, soli in una stanzetta con i campionamenti a coprire i suoni della città/mostro. Io non riesco a figurarmici e, grazie al cielo, la mia cultura è fatta di musica (pop), quindi vex’d si balla come gli autechre, burial di gran classe, e tutto viene smerdato per i teenagers da skrillex. Perfetto, no?

  • daniele
    Posted 10/01/2012 at 08:58

    ti ringrazio per il commento anacleto, anche se in realtà il mio post è uno dei tanti spunti possibili legati a quello che suscita un certo tipo di musica e non intendo certo imporre la mia visione o rivendicarla come l’unica via per capire il dubstep. il fine direi piuttosto che è offrire un punto di vista ‘altro’, sicuramente radicale nella posizione di fondo, ma che non esclude quanto tu hai detto (musica da ballare o farsi scorrere addosso in club o dove vuoi). perché di musica si tratta.
    quanto al disco ti rivelo che la versione ‘ufficiale’ di Jamie T non è né la mia né la tua, mi ha detto che l’album riproduce il suo stato d’animo post rottura con la sua ex ragazza quindi fai un po’ te 🙂 ma del resto l’articolo è a nome mio e non suo o di altri, le mie pippe mentali le ho tenute tali proprio per mantenere la prospettiva, giusta o sbagliata che sia. che la componente retro sia massiccia sono d’accordo ma personalmente non la vedo come quella che ‘eleva’ il disco. per meglio dire, anzi, i pezzi che più guardano avanti sono quelli che lo tengono in piedi da soli e per questo ho insistito su quest’elemento, magari anche un po’ forzatamente, certo.

  • Francesco Marchesi
    Posted 13/01/2012 at 15:33

    Ciao Daniele, straordinario articolo, complimenti. Anch’io in effetti tendo ad avvicinarmi al “fenomeno musicale” in modo piuttosto pensoso, certo come intrattenimento, ma anche (spesso) come sintomo di qualcosa d’altro. Volevo chiederti cosa ne pensi del processo di rapida commercializzazione del mondo cui fai riferimento: il mio dubbio è che non si tratti solamente della volontà di sfruttare a fini di lucro alcune idee, ma, forse, della ricerca autentica di una via d’uscita, rasserenante attraverso una spiccata sensibilità pop, da quell’olocausto suburbano che tu così efficacemente descrivi. Penso ad esempio ai Mount Kimbie, a Girl Unit, agli stessi Kode9 e James Blake. Una fuoriuscita, per così dire, per negazione, rimozione (scusa l’eccesso di termini apparentemente psicoanalitici, è solo un tentativo di spiegarmi).
    Un saluto.

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Se potessi ripercorrere in un attimo, nuotando controcorrente, le rapide di questo fiume oramai giunto al suo estuario, nella estrema fissità di questo mio prossimo viaggio nella noia orizzontale, sceglierei gli anni in cui la volta celeste non era altro che un enorme lenzuolo fatto a cielo e la luna una palla polverosa gettata nel vuoto e catturata con le unghie dall’egoismo del pianeta Terra. E noi, bimbi, cadevamo con essa per sempre, aggrappati in un infinto sprofondo gli uni agli altri, grazie a un gomitolo di lana nera. I grandi dimenticarono in fretta di avere un mondo con certe stelle enormi, sopra il capo, da osservare, mentre noi sacrificavamo la nostra noia migliore per costruire ponti sospesi nello spazio che ci allacciassero a un’agognata luna. La dipingemmo butterata e funesta, con maremoti sulla superficie di un ponto che non era mai tranquillo, ma tutta una schiuma fremente di gorghi e mostri marini. Nuovi esseri di ordinaria malinconia calpestavano un tappeto soffice come zucchero filato sparso su una teglia, in cui si radicavano piante cresciute dolci come torroni. Altre volte immaginammo un balzo da gigante come in mongolfiera, le tante mongolfiere tipiche di una domenica d’estate, un balzo che ci consentisse di fuggire all’avarizia terrestre e alle sue costrizioni. In anni in cui razzi enormi arrugginivano in volo, pensammo a uno sgangherato proiettile cavo sparato negli occhi della luna come nei film dei Meliès, in cui potessimo accovacciarci per il viaggio, assieme ai nostri migliori amici. Ma poi venne il tempo di un leggero disincanto, e, anche sognando a occhi aperti, non potevamo far altro che immaginarci tute e scafandri e missili scagliati a violentare qualche nuovo cielo. E poi, al ritorno, schivare incredibili uragani e tempeste, per posarci placidamente in un mare che ci accogliesse come un telo. Eravamo certo molto giovani e molto felici e pensavamo, con rabbia, di non dover invecchiare mai. (Matteo Marconi) Le puntate precedenti Back To The Future Vol. 9 - Stuart Adamson morì nel 2001 e nessuno ne parla più Back To The Future Vol. 8 - I Vines e il Verona dell'84-'85 Back To The Future Vol. 7 – “I figli degli operai, i figli dei bottegai!” Back To The Future Vol. 6 - Ekatarina Velika (EKV) Back To The Future Vol. 5 - Gli Air sul pianeta Vega Back To The Future Vol. 4 – “Stay” e gli angeli degli U2 Back To The Future Vol.3 - La lettera dei R.E.M. e di Thom Yorke Back To The Future Vol. 2 – Massimo rispetto per i metallari (1987-89) Back To The Future vol. 1 – L’estate di Napster 14 settembre 2010