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“Specchio, specchio delle mie brame, chi è il Sultano più rock del reame?”, esclamò Mark di fronte alla fortezza incantata della In the Red Records. “Solamente chi sarà capace di condensare in due dischi tutta la freschezza degli anni ’50 donandogli contemporaneità dignitosa potrà ambire a questo titolo”, risposero i bontemponi dell’etichetta che faceva del lerciume garage il suo punto di forza. Così il buon Mark, animato dalla sua passione musicale e circondatosi da amici folli quali Cole Alexander e Jared Swilley dei Black Lips, Dan Kroha dei Gories e Erin Wood dei The Spits (manca all’appello solo il suo amico King Khang con il quale divide il progetto BBQ, ma per diventar Sultano si sa, non vale l’aiuto del Re) decise di scrivere due dischi (venduti però separatamente) che fossero in tutto e per tutto lo specchio (appunto) nel quale si potesse riconoscere la vera anima del Sultano.
Un vero tuffo nel passato, per certi versi, che si concede però parecchie incursioni a filo d’acqua per riprendere fiato e sputar fuori un garage rock ricco di idee e soprattutto di grandi canzoni. Revival con il piede che batte nella terra rock’n’roll di Elvis Presley e nel doo-wop delle Ronettes e in un batter di ciglia sfrigola passione elettrica con derive psichedeliche della migliore tradizione garage. In mezzo a tutto questo però troviamo tanto surf, rockabilly, punk, country e improvvisazione free jazz dissonante (la chiusura di “Whenever” affidata a “For those who don’t exist”). Quale dei due dischi vi consiglierei? Ovviamente tutti e due, troppo uguali eppure troppo diversi. Solo un consiglio; non sceglietene uno in base alla copertina. Vincerebbe a mani basse “Whenever I Want” e voi non avrete mai la gioia di ballare ininterrottamente“Livin’My Life”, la canzone più bella scritta da un Sultano che del reame ora è davvero il più figo.
80/100
(Nicola Guerra)
18 gennaio 2012