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I Black Keys, nell’ultimo periodo, hanno riempito le pagine di innumerevoli mensili e siti musicali. In quasi tutti gli articoli venivano decantate le lodi per la loro capacità di scrivere ottime canzoni dal sapore retrò, per la carriera solista di Dan oppure per la spiazzante creatura estemporanea dal nome Blakroc.
Passa spesso in secondo piano il fatto che questo gruppo incida per la Alive supersound, un’etichetta che seleziona essenzialmente gruppi con palesi richiami al passato.
Un rooster che ci permette di spaziare dai Buffalo Killers ai Black Diamond Heavies passando per i Soledad Brothers.
Il gruppo più interessante, a mio avviso, sono i Radio Moscow. Anzi, se volete li potremmo chiamare il progetto di Parker Griggs, un ragazzotto capellone dell’Iowa completamente immerso in uno spazio temporale collocabile tra la fine del ’67 e gli ultimi sgoccioli del ’69.
E’ un guitar hero come lo furono Jimi Hendrix, Jeff Beck e Jimmy Page, e già questo non è poco. Quello che lascia allibiti, se già quello che ho scritto in precedenza vi risultasse esagerato, è la sua ottima preparazione dietro le pelli, tra Ginger Baker dei Cream e Paul Whaley dei Blue Cheer.
“The great escape of Leslie Magnafuzz” è la sua terza fatica, un lavoro molto più omogeneo e amalgamato rispetto ai precedenti. E’ quasi un concept incentrato sull’esecuzione di un feroce hard-blues effettato, un vortice che rischia pericolosamente di lambire il confine stoner in più punti durante i suoi 50 minuti di viaggio.
La voce roca e alcolica di Griggs, per la prima volta nella loro discografia, è capace di destreggiarsi abilmente tra riff assassini e assoli che pagano il loro tributo verso l’Hendrix più funkeggiante, quello magnificamente immortalato con la Band Of Gypsys.
Non è un disco facile come non deve essere facile avere a che fare con Parker, visto come è riuscito a smantellare la propria band live durante l’inizio anno, portando alla disperazione un inferocito Cory Berry (batterista occasionale) che, durante il loro ultimo concerto nella loro città natale, ha lanciato in testa al leader una delle chitarre presenti sul palco.
Amanti di quello che furono gli anni sessanta, appassionati delle medicine del dottor Hoffman, questo disco è quello che fa per voi.
83/100
(Matteo Ghilardi)
1 febbraio 2012