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Ani è straordinaria. Aldilà delle preferenze personali, arrivare al diciassettesimo disco in studio (o giù di lì) e tirarne fuori uno come questo è da gloria imperitura. Per la qualità costantemente alta, per l’ennesima sintesi di una cifra stilistica molto personale che nel tempo è cresciuta a dismisura, sia come quantità che in senso “multimediale”.
Il folk è sempre stato alla base di ogni cosa, poi, tra live e dischi veri e propri, la personalità coloritamente femminile di Ani è esplosa traducendo miliardi di input in un qualcosa di cangiante, multiforme, specchio scevro di censure del sociale e del ruolo dell’umanità nel mondo, tra canzoni vere e proprie e vaste incursioni in territori limitrofi al folk: spesso impeto e forme da hip hop singolare e sfuriate di musicalità a 360°, tra strascichi blues, arrangiamenti fluviali, progetti che nascono dal vivo e si dividono in altri miliardi di rivoli che magari con il progetto iniziale non c’entrano più tanto. Certo, nel passato, ciò ha portato ad eccessi di logorroica autoreferenzialità e c’è di che perderci la testa (e il cuore, se ce ne si innamora) a cercare di selezionare “cosa sì e cosa no”.
E poi arriva un disco come questo, riassunto di una vita musicale e prova di totale freschezza, dotato di un’innocenza politica feroce e di un impeto melodico/strutturale da giganti della musica. Idee, immagini, suoni, cascate di parole si sovrappongono gentili e infuriate nell’ambito di pochi secondi, come scorci di scorrere di vite e incrocio di esperienze che hanno segnato la titolare e segnano chi si fa coinvolgere dal fluire delle correnti universali che attraversano ogni pezzo. Che sia nella sfrontata e barricadera title-track – sì c’entra Seeger, ma quasi non importa – nelle trame acustiche che transitano tra rock, folk e jazz come ordinare un caffè e ritrovarsi a tavola con gli dei. Nella sincerità da far male di “Amendment”, nell’uno/duo iniziale di “Life Boat” e “Unowrry”, dotati di hook melodici da capogiro, nella delicatezza di “Albacore” o nelle vibrazioni funky/dub di “J”. Tra i dischi dell’anno.
85/100
(Giampaolo Cristofaro)
5 marzo 2012
1 Comment
francesco melis
la copertina è un plagio (presumo e spero involontario) di quella del primo disco dei bluetones 🙂