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Questo “Live in Detroit 1986” è un disco importante, per diverse ragioni. È strano e allo stesso momento moralmente opportuno, ma dalla morte del musicista pochissimo materiale “inedito” è stato pubblicato… anzi quasi nulla di ufficiale. E data la caratura artistica e il furore scenico di Fela Kuti sembra un peccato… e un’ingenuità a livello commerciale. Si ristampa e si pubblica di tutto, di tutti, anche quando non ce n’è bisogno.
Perché di Fela Kuti non si è pubblicato niente? Eppure era uno che rendeva ogni suo concerto unico, una specie di James Brown umanista, un Miles Davis africano o un Freddie Mercury colorato e incazzato… capace di trascinare pubblico e orchestra in jam session infuocate e interminabili. Attimi pieni di sorprese e di contenuto. Ora finalmente, grazie alla Stunt, esce qualcosa. Non si tratta però di sciacallaggio o di materiale per collezionisti.
Questo disco è la testimonianza di una performance storica. L’album è stato infatti registrato dal vivo nel novembre 1986 al Fox Theater di Detroit, durante una magnifica e sacrosanta celebrazione della musica di Fela Kuti. Il ritorno negli Stati Uniti aveva allora molto significato. Fu una vera festa dopo la liberazione dall’ingiusta prigionia, durata due anni. Aniculapho si era infatti candidato alle elezioni in Nigeria, aveva fatto incazzare Muhammadu Buhari e detto e cantato di tutto per denunciare i crimini del regime. E lo avevano sbattuto nel gabbio.
Quelli di Amnesty fecero i diavoli a quattro per liberare Fela e dimostrarne l’innocenza. E alla fine ci riuscirono. Nacque così l’idea per questo concertone. Insieme a Fela Kuti c’era la sua incredibile Egypt 80 band e lo spettacolo si prolungò per più di tre ore. Il disco riassume tutto in quattro brani. Momenti istrionici, potenti, trascinanti, politici, brucianti, come “Just Like That”, “Confusion Break Bone”, il classico “Teacher don’t Teach Me Nonsense” e “Beast of No Nation”.
Ciò che colpisce è la capacità del gruppo di commissionare generi differenti mantenendo sempre un suono compatto e personale. Le tastiere funky si mescolano a lunghi assoli indemoniati, il jazz di “Confusion Break Bone” si contrappone al rap di “Just Like That”, la rabbia di “Teacher…” si oppone alla gioia ritmica di “Beast of No Nation”… eppure tutto è in qualche modo armonioso e sensato. Riguardo alla personalità di Fela Kuti non c’è molto da dire, è lapalissiana. Non si discute. L’energia live poi è valore aggiunto. Anche quando le canzoni suonano un po’ goffe e gli arrangiamenti troppo insistenti, arde il fuoco creativo del genio dell’afrobeat. E non si può spegnere. Bello per i fan, una preziosa occasione per essere iniziati al culto di Mr Ransome Kuti.
70/100
(Giuseppe Franza)
18 maggio 2012