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Spesso si fa un gran dire della portata irrilevante e legata ai trend della scena indipendente americana. Un po’ per la facile retorica anti-hipster che in fondo è essa stessa hipster. Un po’ per la comoda retorica anti-pitchfork. Come se il gigante mediatico dell’underground indipendente d’oltreoceano non avesse mai lanciato dei nomi poi validi. Ci si dovrebbe imbattere in serate come questa al Black Cat di Washington DC per smentire pregiudizi. Pesanti, pedanti e legati a una sfera noiosamente extra-musicale.
Sia gli Hospitality che gli Here We Go Magic risponderebbero allo stereotipo che si cerca di screditare alla prima occasione utile. Due band di Brooklyn, entrambe presto osannate da Pitchfork per quanto fresche, freschissime di esordio discografico. Particolare, però, tutt’altro che di secondo piano le etichette di riferimento, Merge e Secretly Canadian, due veri e propri colossi del sottobosco indipendente americano. Nel club di riferimento della capitale dove un tempo regnava il punk-hardcore ora è vietato fare stage-diving, come recita lapidario un cartello inequivocabile all’ingresso. Segno dei tempi andati, ma la programmazione del Black Cat si mantiene sugli standard. E un inutile lunedì grazie a otto ragazzi newyorkesi riesce a offrire una serata perfetta.
Si inizia presto e puntuali a orario di cena con gli Hospitality. Il loro indie-pop quasi proverbiale dal vivo suona molto meno scolastico. Se non fosse per la voce, i tre sembrerebbero venire da Goteborg. Ritmi incalzanti da devoti del twee, melodie che si scolpiscono nella mente in maniera istantanea. Amber Papini è una frontman semplice e onesta, come l’efficace proposta musicale del loro esordio eponimo, arrivato a gennaio dopo un paio di promettenti EP. “Let’s Get Together” e “Betty Wang” sono dei piccoli inni estivi. Unico difetto degli Hospitality? Aver anticipato di qualche mese l’estate.
Molto diverso il discorso degli Here We Go Magic, fenomeno nuovo se si prescinde da una visione recentista. Perchè i quattro concittadini degli Hospitality sono in giro da quasi tre anni. Con tre dischi e un EP all’attivo.
La loro formula è invece molto più indecifrabile. Esordi psichedelici a una fedeltà sonora inversamente proporzionale al potenziale lisergico. Con canzoncine dai motivetti ficcanti e digressioni visionarie. Virando con il secondo “Pigeons” verso suggestioni meno freak e decisamente kraut. Disco della “quasi”-maturità il nuovo “A Different Ship”, prodotto con l’illustre collaborazione di Nigel Godrich. Ricco nei suoni e nelle sfaccettature, meno nella capacità di conquistare il cuore. Ed eseguito al Black Cat quasi nella sua interezza (esclusi solo due brani). Dal vivo per fortuna Luke Temper e Jen Temper scaldano i cuori eccome. Le loro voci si intrecciano come dei loop, dei mantra nelle ipnotiche trame messe in piedi dalla solida base ritmica. Le sonorità sono sempre pervase da un gusto tribale, a tratti afro degno dei capofila di questo ambizioso filone del pop indipendente contemporaneo. E vengono in mente i Dirty Projectors prima ancora che tUnE yArDs. “Make Up Your Mind” e “I Believe In Action” i momenti migliori, tra i nuovi inediti. Un’improbabile via di mezzo tra musica on the road, surf e Talking Heads. La platea, nutrita e coinvolta in danze mistiche, ha un’età media incredibilmente eterogenea. Tra minorenni marchiati a fuoco dal timbro destinato a chi non puo’ ordinare alcolici al bar e nerd di mezza età. Accomunati da movimenti ondulatori che è impossibile tenere a freno per l’intensità dell’esibizione.
I due estratti del secondo LP, “Hibernation” e “Collector”, accolte come due classici d’annata danno l’idea di una band navigata. Per quanto giovane. Un’ora di show incessante, con un equilibrio negli arrangiamenti di rara fattura. E se poi nel bis arrivano altre due chicche quali “Land Of Feeling” e il tormentone underground 2009 “Fangela”, non si puo’ che tornare in metro, in un orario nemmeno da seconda serata, con quel misto di sudore e appagamento tipico delle grandi occasioni. Ed era solo un inutile lunedi.
Moon
Make Up Your Mind
Hibernation
Tunnelvision
Alone But Moving
Over the Ocean
I Believe in Action
Hard to Be Close
How Do I Know
A Different Ship
Collector
———
Land of Feeling
Fangela
(Piero Merola)
23 maggio 2012