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I La Cena, da Malaga, cavalcano il revival pop anni ’60 con il disco “Historias al reves”. Come se fosse una sorta di regressione ipnotica, la band ha iniziato il suo viaggio decennale per tirar fuori pezzi come “Black jack”, quasi come una macchina del tempo. Prodotto da José Maria Rosillo, “Historia al reves” rappresenta a oggi il miglior lavoro di questo collettivo di Malaga con buone prospettive future.
Penso che una cosa piuttosto rappresentativa di voi come musicisti sia il vostro passato. Se non sbaglio suonate da quasi quindi anni, ma solo da due esistono i La Cena.
“Sì, proprio così, ci conosciamo da un decennio e mezzo o forse più. Abbiamo iniziato quando ciascuno di noi suonava in gruppi differenti, ma abbiamo condiviso tutto di quegli anni, dalle esperienze agli strumenti musicali. La Cena è il nostro progetto più recente con cui abbiamo provato ad esprimere quello che sentivamo in modo, per così dire, leggero. Il risultato ci ha lasciato particolarmente contenti”.
Diciamo che i vostri due o tre anni passati sono riassunti in “Historias al reves”. Si può dire dunque che questo sia una sorta di “greatest hits” degli ultimi anni?
“In realtà qualsiasi disco di un gruppo è un “greatest hits” di un determinato periodo di tempo, perché spesso accade che si produca molto materiale e poi si selezioni il migliore. Crediamo che questi due/tre anni siano stati molto produttivi per noi. Miguel ha scritto tantissime canzoni e ci abbiamo lavorato molto in sala per dargli forma”.
Da quante canzoni avete scelto le undici del disco?
“Inizialmente avevamo registrato trenta canzoni. Poi è stato facile poter selezionare le undici migliori”.
Si sente molto l’apporto alla produzione di Rosillo. Immagino che per voi sia stato importante.
“Certo, ci è sempre piaciuto come lavorava e registrare il disco con lui è stato un piacere. Quando s’è presentata l’opportunità non ci abbiamo pensato due volte e per fortuna siamo potuti stare con lui in studio”.
C’è stata ansia prima di iniziare a registrare il disco?
“Beh sì, avevamo una gran voglia di registrare questo disco. Già nel momento di comporre e sviluppare i pezzi si notava una certa esigenza da parte di tutti noi di tirar fuori un lavoro ben fatto. Sicuramente poter contare su José Maria Rosillo per la registrazione del disco è stato importante, anche per il rispetto che ci incuteva. A quel punto siamo stati spinti ad arrivare in studio con i compiti già svolti a casa”.
Parliamo delle canzoni. Quello che mi ha colpito sono i cori che rimandano a tante band degli anni ’60. Come esempio tra i pezzi del disco mi viene in mente “Doble sentido”. Come avete lavorato sui cori e sulle parti vocali?
“Questo è un aspetto che ci è sempre piaciuto nella musica che ascoltiamo. Ci piace poter usare la voce come uno strumento aggiuntivo, perché si aprono più possibilità compositive. Infatti abbiamo sempre pensato di costruire le canzoni in modo da poter usare varie parti vocali. Allo stesso è evidente l’influenza degli anni ’60. Merito anche del produttore che ci ha guidato in ogni momento della registrazione prestando particolare attenzione alle voci”.
Che potete dire del brano “Las flores que quedan” e del suo suono molto psichedelico?
“E’ una canzone molto speciale per noi. Nel 2011 l’ep con questo brano fu nominato miglior demo da Mondosonoro. Sicuramente c’è anche molta psichedelia nel disco, ci piace provare cose nuove e inserire sonorità simili a quelle sixities. E’ stata l’epoca musicalmente più florida per il pop”.
Il singolo “Blackjack” è stato scelto perché rappresentativo della totalità dell’album?
“Crediamo che possa riassumere lo spirito del disco. Era nostra intenzione fare un lavoro di buone canzoni, e questa ci pare lo sia. E’ il nostro piccolo omaggio al pop classico di sempre”.
(Charly Hernandez)
24 giugno 2012