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Tornano gli “spiantati”, a tre anni dallo riuscitissimo “Kilometrando”. “La Vida” presenta una line-up completamente rinnovata, con il solo Fabi il Zalles a garantire continuità con la “vecchia” band, e si distingue subito per sonorità più agili e svelte, più acustiche, forse meno ricercate. Sicurezza e maturità stilistiche sono le stesse, ma qui, nell’ambito della diffusa trama reggae caratteristica del gruppo, si accentua l’influenza della patchanka balcanica e fa capolino persino qualche accenno di pop, in “Adesso Se Puoi” e “Brucia”. I temi del quintetto calabrese sono immutati: la ricchezza della vita in tutte le sue innumerevoli sfumature, i valori autentici – che si nascondono dietro gesti di ordinaria quotidianità – le scelte di vita importanti, il cosmopolitismo, la critica e l’impegno sociali. Il multilinguismo rafforza questi concetti, e l’arbereshe, l’albanese antico parlato da una minoranza etnica che partecipa di tante culture, ne è la sintesi suprema.
Una consistente sezione di fiati – tromba, trombone, il sax di Carmine Guido – affiancano Tony Perri (chitarra e voce), Fabi il Zalles (basso e voce), Federico Baffa (fisarmonica) e Antonio Chiarella (batteria e percussioni): il risultato è un suono più amichevole e solare, meno sperimentale, senza quei lampi arrabbiati a cui in “Kilometrando” contribuiva il suono sintetico delle tastiere e delle programmazioni di Corrado Mendicino. L’impressione è quella di un ritorno alle origini: un’opera più inquadrabile stilisticamente, più classica, ma ad un tempo un po’ più prevedibile, nelle ritmiche e nelle armonie. La band sembra puntare sui toni lirici e sereni – soprattutto in “U e TP”, forse il pezzo più riuscito del disco, e “Waiting For My Love”, ma un po’ ovunque – che controbilanciano sensibilmente i caratteristici riff della Spasulati. Così ad esempio in “Og o Jo”. Fa eccezione “Vagabondi”, dall’arrangiamento più aggressivo.
“La Vida” è un album epicureo: un elogio della semplicità e dei bisogni essenziali. È inutile affannarsi a rincorrere i vacui miraggi di un presunto benessere consumistico: la vita si misura su parametri “sostenibili”. Strumento fondamentale di questo risveglio della coscienza è, come in “Kilometrando”, il viaggio: calibro fondamentale per ritarare ed equilibrare gli assetti del nostro modo di pensare, per farci riconoscere, denunciare e, per quanto sta in noi, opporci a quella deriva dei vinti, a quell’altro sconcio vagabondaggio rappresentato dallo “hobo” dylaniano.
70/100
(Federico Olmi)
1 agosto 2012