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Andare a sentire dal vivo i Radiohead oramai per me equivale a passare dopo anni una serata con un lontano familiare o un carissimo amico: si crea un’atmosfera pacificante, dove non pretendi sorprese, perché ti basta l’evento in quanto tale. L’incontro.
A distanza di anni e anni e anni dalla prima volta che l’ho sentita eseguire live, ancora non mi capacito di come “Exit Music” riesca a zittire anche la zanzara più ronzante e fastidiosa. Per quattro minuti tutto scompare, rimane solo la sensazione di un istante partecipato, con commozione e rispetto, nel completo silenzio.
Thom Yorke è sempre più un tenero e simpatico cazzone, meno tendente alle pose depressive dei tempi di “The Bends” e “Ok Computer”.
Hanno fatto “Myxomatosis”! Per non parlare di una “Nude” (o “Big Ideas”, come preferisco chiamarla) annichilente. Ma questo capitolo sarebbe troppo lungo e per ora me lo risparmio.
Insomma, anche se non ha raggiunto i vertici emotivi di Firenze 2000 o Verona 2001, anche questo nuovo incontro con i Radiohead si inserirà nella memoria come qualcosa di dolce e universalmente intimo. E mi basta.
Ah, ultima annotazione: un tempo la platea al buio si illuminava dei tremolanti fuochi degli accendini per sottolineare i brani più amati. E tutto acquistava un colorito rossiccio, vivo, caldo. Ora la platea si illumina dello schermo bluastro degli Iphone. Freddi. Probabilmente mi ci abituerò, ma il primo impatto è stato a dir poco bizzarro…
(Raffaele Meale)
23 settembre 2012
foto di Henry Ruggeri