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“Love This Giant” o “Per un codice deontologico delle ex grandi star del rock”. Già, perché come dimostrano le disavventure anche recenti, di grandi ex-qualcosa della musica, non c’è niente di più difficile di una oculata gestione della seconda parte di una, un tempo, brillante carriera. E allora noi kalporziani, da sempre sensibili alle difficoltà della terza età, contro un certo giovanilismo pseudo-rock oggi imperante, ci impegniamo qui ad indicare una serie di norme di buona condotta atte ad evitare che la senilità non comprometta il generoso lavoro di una intera vita. Perché, dopo tutto, ad una certa età la dignità è il valore più importante.
1. Pubblicare poco, solo dopo lunga meditazione, senza farsi attrarre da fenomeni di costume anche alternativi, anche di qualità, ma dal percorso quantomai sospetto (leggi: tendenziale venir meno di idee e reiterazione di uno stesso schema).
2. Evitare in ogni modo di schiacciare la propria proposta su quella del collaboratore/collaboratrice. L’ultima cosa che una ex grande star deve mostrare è proprio quella di pubblicare non in seguito all’emergere di qualche idea, ma “a traino” e “in supporto” (con il proprio nome) di idee altrui [“Weekend In The Dust”].
3. Non assumere quell’aria divertita da arzillo vecchietto, anche se questa era in qualche modo la tua cifra in gioventù. Passato il momento anti-retorico giovanile in cui tutto è concesso, si tratta solo del miglior modo per sfondare il muro del patetico.
4. Il pericolo maggiore: la retorica. Ancor di più, la retorica di sé stessi. In una parola, non imitarsi [“I Am An Ape”].
5. Ancora sulla retorica: in particolare, se la tua proposta storica si è sempre distinta per essere deliberatamente posizionata su un crinale pericoloso, per una straordinaria capacità di far suonare solido, asciutto, potente, quello che eseguito da altri non andava oltre la maniera, l’ammicamento esotico, il tribalismo di seconda mano, bene, allora collocarsi il più possibile a distanza dal modello d’origine è regola essenziale. Pena, non solo il cattivo gusto, ma, ancora una volta, il sempre impietoso confronto con sé stessi. [“I Should Watch TV”].
6.Cercare un approccio originale, che non miri ad una integrazione dei modelli dei due collaboratori, ma che eviti al tempo stesso di riprodurne uno, magari quello più vivo. [“The Forest Awakes”].
7. Assumere un tono, se non grave, quantomeno pensoso: i balletti sul palco non sono una buona idea, le superproduzioni e le orchestre meglio evitarle, fare dell’album un evento è quanto di peggio si possa pensare. Parola d’ordine: sobrietà.
8. Album brevi: se non ci sono idee è inutile cercare di mostrarsi creativi.
Ecco quindi una prima traccia a partire dalla quale sviluppare un percorso di formazione, di rieducazione, che permetta alle ex grandi star di aggirare le insidie della senilità artistica.
Da questo punto di vista “Love This Giant” rappresenta un luminoso esempio di tutto ciò che è preferibile non fare, sia per il grande ex, che per il giovane collega. Perché se nella vecchiaia la dignità è un valore inestimabile, avere qualcosa da dire è caratteristica preziosa ad ogni età.
39/100
(Francesco Marchesi)
4 ottobre 2012
5 Comments
David
Sinceramente, una (non) recensione penosa…
Byrne lo trovo piú che dignitoso. Gli equilibri nel disco li vedo leggermente spostati verso Byrne, ma la Clarke non é affatto relegata a un ruolo di secondo ordine.
Claudio Fontani
Da un duetto del genere ci si aspettava sicuramente qualcosa in più, ma non è certo un brutto album il loro. Semmai contesto una certa ripetitività negli arrangiamenti e il predominio byrniano sulla Clark, per il resto è né più né meno di quello che era lecito chiedere a questa coppia…
Francesco Marchesi
Al contrario, io penso che l’album sia complessivamente sbilanciato su Annie.
duilio
la st. vincent non è nessuno! diciamocela tutta!
Francesco Marchesi
Proprio nessuno non direi. Penso però che dall’ultimo album solista si aspettasse l’ultimo salto di qualità, che non mi pare sia avvenuto.