Share This Article
Di fronte al secondo disco dei Ringo Deathstarr “Mauve” sorge spontanea la domanda “se il revival sia un sintomo di un’evidente mancanza di idee o solo una forma di tributo a un’era che fu e non è più?”. I Ringo Deathstarr, trio texano, dopo il discreto esordio “Colour Trip” (2011) e il tour europeo di supporto agli Smashing Pumpkins cavalcano nuovamente l’onda del revival anni novanta. E in particolare continuano, non si sa bene, se per spirito di emulazione o per passione naif verso certe sonorità, a rinvigorire le fila della nuova ondata shoegaze.
Tra gli esponenti della nuova generazione shoegaze i texani risultano i più ancorati al passato, dimostrano quasi un spirito divulgativo: il desiderio di rendere il passato parte integrante del presente e di un futuro prossimo. “Mauve” è una macchina del tempo con al volante Elliott Frazier, deus ex-macchina del gruppo e produttore dell’album e con al seguito Alex Gehring (basso e voce) e Daniel Coborn (batteria). Le fermate sono tredici. Il viaggio si snoda tra muori di suono alla Jesus & Mary Chain (“Waste”), duetti vocali richiamanti quelli di Kevin Shields – Bilinda Butcher (“Fifteen”), divagazioni eteree e trasognanti (“Brightest Star”, “Drag”) e sprazzi di noise – pop dal forte retrogusto di gomma appiccicata e scarpe nere fradice dopo il concerto dei Beat Happening (“Please don’t kill yourself”).
I passeggeri più giovani, lontani anni luce dall’immaginario di Psychocandy, Loveless o Souvlaki, ameranno alla follia “Mauve”, i meno giovani, passeranno ad altro e cestineranno “Mauve”, raccolta tascabile dello shoegaze che fu. I Ringo Deathstarr si riconfermano dei buoni amanuensi della musica, capaci di comporre e produrre canzoni di buona fattura, ma prive di quel “quid” che li faccia emergere dal marasma di nuove band.
62/100
(Monica Mazzoli)
2 ottobre 2012