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Arriveranno quelli che vi diranno che al nuovo progetto di Nigel Godrich, gli ultraìsta, manca qualcosa, che i “gruppi dei produttori” alla resa dei conti non convincono, che sono freddi. Voi non credeteci. Perché il debut-album del “produttore dei Radiohead” è bellissimo, ed è finalmente la cartina tornasole di quello che aggiunge, Nigel, nei capolavori su cui ha messo le mani. Non vorrei tediarvi con l’elenco, si fa prima a mandarvi all’elenco su Wikipedia, che è impressionante (almeno 5 dei miei dischi preferiti degli Oughties li ha missati o prodotti lui…).
Io partirei dal fondo, da quella “You’re Out” in cui confluisce l’andamento di “In Limbo” e la voce di Laura Bettinson arriva perentoria e struggente, talmente suggestiva dall’essere commovente per la bellezza che sprigiona. Gli ultraìsta sono questi: una micro-elettronica che segue il passo della decade (questa), ovvero l’infittirsi dei ritmi, delle nevrosi, della contemplazione, e che allo stesso tempo diventa salvifica, riparatoria.
E’ come trovare la soluzione ad un problema utilizzando lo stesso linguaggio, come scoprire il vaccino dal ceppo della stessa malattia. Perché “ultraìsta” non fa sconti al nostro affanno, ce lo ricorda ma ci dà anche la pozione per superarlo, nel caso specifico anche attraverso ai rimandi più o meno volontari che fanno riferimento alle band prodotte da Nigel. “Strange Formula” ha un riff che pare rubato da “Lotus Flower”, il tempo di “Bad Insect” da “Sit Down, Stand up”, ma – chiediamocelo – è nato prima l’uovo o la gallina?
Perché come si fa capire se i rimandi, negli ultraìsta, siano il frutto dell’esperienza accumulata in studio o se siano piuttosto, essi stessi, i segreti ancora inconfessati di album fascinosissimi? Io opto per questa seconda ipotesi, perché se anche in “Gold Dayzz” scorgo il Beck scazzato e cazzone di “The Information” è piuttosto l’anima vera degli ultraìsta, quella ipnotica, di classe, electro-fusion, che emerge e salta fuori.
Se vogliamo essere critici a tutti i costi in “ultraìsta” manca leggermente quello che è il difetto di “The Eraser”, l’album solista di Thom Yorke, ovvero qualche picco di intensità sonora. Ma Nigel Godrich è un lord del mixer, si sa, e non ce lo vedo ad aggiungere schitarrate elettriche alle sue sinuose traiettorie dei bit per dare più carattere alle sue canzoni. E’ lontano mentalmente a certe soluzioni del rock che non potrà mai fare violenza a se stesso, e in ciò è totalmente il suo genio.
Personalmente ne avevo bisogno di un album come “ultraìsta”, perché è la dimostrazione di ciò che scorre e che si rigenera, al di là delle mode del momento e di quello che veicola il sito cool di turno. E’ un album fatto con cura, con passione, forse un po’ troppo pensato, ma ha in sé la bellezza del voler disegnare un sogno appena fatto: i contorni rimaranno sfuocati, ma si tratta pur sempre dell’inseguire un sogno.
81/100
(Paolo Bardelli)
7 ottobre 2012