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I Band of Horses, dopo tre dischi segnati da un’invidiabile vena artistica, si fermano. Sì, perché il tanto atteso nuovo album, “Mirage rock”, assume i contorni di un passaggio a vuoto. Non che sia tutto da buttare, nel disco si ritrovano due o tre momenti abbastanza ispirati, ma dalla band di Seattle era lecito attendersi e pretendere di più.
“Mirage rock” non apporta nessun cambiamento rispetto ai suoi predecessori, ma non possiede l’immediatezza di “Infinite arms” né tanto meno il suono a tratti ipnotico di “Everything all the time” e “Cease to begin”. Il materiale su cui lavorare probabilmente c’era pure, ma il suono dei Band of Horses appare quasi “standardizzato” rispetto al livello stilistico del gruppo. Il singolo “Knock knock” mette in mostra una melodia accattivante ma poco altro, i piccoli segnali dello stile passato della band americana si trovano in altri momenti del disco. In particolare “Dumpster world” (in origine sarebbe dovuto essere anche il titolo dell’album), che racchiude al suo interno l’immaginario musicale e non dei Band of Horses, grazie alla solita capacità di rappresentare in note un’America dai forti connotati letterari.
In “Feud” l’intreccio di chitarre pare efficace come nei precedenti lavori e il pezzo ne guadagna in incisività e freschezza. Anche le atmosfere sognanti di “Slow cruel hands of time” risaltano rispetto al resto. A fine ascolto rimane comunque una forte sensazione di incompiutezza. La speranza è che questo passaggio a vuoto resti un caso isolato.
59/100
(Francesco Melis)
14 novembre 2012