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Disintossicarmi dal rumore. Ho scelto di ascoltare il secondo lavoro del cantautore torinese Alberto Bianco per staccare la spina, per dimenticare i feedback, per ricordare a me stesso che l’Italia è anche fatta di parole, di poesia e di storie da raccontare. Avevo voglia di ascoltare e immedesimarmi in questa “Storia del Futuro”. Avevo letto della collaborazione con Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione. Punto a favore. Avevo letto di rock che abbraccia il pop. Due punti a favore. Pensavo a Luca Gemma (mio grande pallino e metro di paragone per un genere che poco frequento ma che riesce ancora a rivoltarmi il cuore) e quindi, perché no, aveva senso dedicarsi un po’ a quello che mi circonda. Affascinato da una copertina splendida (terzo punto a favore), m’immergo letteralmente. Torno a galla dopo ascolti ripetuti.
E capisco perché sono un tossicodipendente di musica rumorosa. Perché non sempre le rime fanno poesia. Perché la pulizia sonora non sempre è sinonimo di qualità. Perché l’Italia avrebbe bisogno di una scossa e non di canzoni che puntano a entrare in classifica. Insomma, questo è un disco paraculo. Ammiccante ma senz’anima, incerto se stare con un piede nel club sporco di birra o sul palco patinato con le presentatrici fighe che non comprendono appieno il vero significato di underground. L’angelo sulla mia spalla mi dice che non devo essere cattivo, in fondo sono solo canzonette. Il diavolo mi prede per il bavero e continua a sussurrarmi “pensa al cuore di Giulio Casale, pensa alla poesia di Tenco, ricorda quanto si stava bene quando c’era chi la musica la viveva”. Io non ascolto nessuno dei due e riascolto Bianco. Per essere imparziale dinanzi a eventuali e ingiusti paragoni. Rimango però convinto che questo sia un lavoro a metà, orecchiabile ma senza presa, classificabile in quella terra di cantautori che tanto vorrebbero essere “profeti”, ma si barcamenano alla ricerca di una propria identità. Che quasi mai fa rima con integrità.
Venderà, parecchio. Matematico. Avrete i ritornelli in testa che non vi faranno nemmeno male. Solo noi tossici soffriamo per un dolore lancinante che si rivela spesso medicina piuttosto che tortura.
50/100
(Nicola Guerra)
8 gennaio 2012