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La definizione di “pop emaciato” che avevamo coniato per i primi vagiti degli Esben And The Witch nel 2011 è azzeccata (vedi news), niente da dire. Rendeva l’idea del debut-album “Violet Cries” (Matador, 2011), e continua ad essere una buona definizione anche per questo “Wash The Sins Not Only The Face”. Il problema è che, oltre alla bella etichetta, non c’è nulla. Il trio di Brighton ha inciso un album più piatto che più piatto non si può, senza sussulti, senza particolari emozioni. L’indolenza vorrebbe essere forse quella degli XX con inserti shoegaze e gotici mentre il risultato è quello che potrebbe raggiungere anche il gruppettino sconosciuto di 18enni della provincia di Cosenza, e ci scusi Cosenza che non conosciamo il suo sottobosco rock magari floridissimo.
Si sbadiglia, e molto, in queste dieci canzoni contraddistinte dalla voce lagnosa di Rachel Davies, dalle chitarre strasentite di Thomas Fisher (vedi alla voce canzone di apertura, “Iceland Spar”), dall’elettronica mai decisiva di Daniel Copeman (come in “Yellow Wood” costruita su un tappeto pesante e un ritmo eighties poco originale). Se si eccettua “Slow Wave”, quantomeno un po’ briosa nella riproposizione di certo dark sempre degli anni che furono, il resto è davvero qualcosa che sfugge via dalle orecchie e non ci ritorna più.
Peccato, le potenzialità – dopo il primo album – parevano alte. Ma stavolta non è nemmeno questione di “quello bravo che non si applica”, qui ci troviamo di fronte al “secchione che, nonostante studi tutto il giorno, non ci arriva”.
40/100
(Paolo Bardelli)
18 febbraio 2013