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Quarto album in presa diretta per gli Edible Woman, un documento racchiuso nella vincolante parola “Nation” che suona come lo stato della nazione refertato in dieci tracce recitate senza le violenze serrate dell’esordio (“Spare Me/Calf”, 2004) o la tanta psicotica acidità dell’ancora sorprendente “Everywhere At Once” (2010). Il tono di voce si è abbassato, si è fatto grave: merito di un talento che ha saputo cogliere, leggendo gli intrecci tra temi e generi, il momento in cui è necessario scendere dal cavallo pazzo del primo post-punk, uscire appena dalla folta foresta psichedelica, e scegliere un registro accurato e declamatorio per raccontare le sottigliezze del male della nazione.
“Heavy Skull” open track ipnotica con suono ripulito e apparentemente senza graffiature meraviglia per l’atmosfera felpata che sembra proporre una virata di atteggiamento prima che di stile, ma prepara invece un’estetica ricca di sfumature e creatività che “Safe And Sound”, dove Andrea Giommi alterna un cantato minacciosamente bisbigliato a tinte ancora punk, conferma ma ancora non mostra in tutta la sua pienezza la natura di “Nation”.
È “Psychic Surgery” ad aprire chirurgicamente la ferita purulenta dei tumori della nazione e a impennare di colpo la potenza della proposta con la spettacolare quanto inattesa riesumazione di Ian Curtis. Talento vuole che la new wave resti uno splendido pretesto per rileggere contro l’apparente giustapposizione di stili le infinite diramazioni dei generi, la compatibilità delle pulsazioni kraut con il noise elettrico e con la ripetitività industrial al fine di compilare l’anamnesi intorno alla dissoluzione della psiche umana. In questo il lotto a catena delle tre tracce successive è emblematico quanto succulento: “A Hate Supreme” ossessività al vetriolo che scatena la tempesta, la sontuosa “Cancer” che trattiene la furia con marzialità dark e che la libera con altrettanta marzialità ritmicamente isterica, l’elettronica “Money For Gold” con le sue trombe da giudizio universale poco poco rimandato.
E poi arriva la title-track “Nation”, senza esplosione, senza scontri, senza battaglie. Il giudizio è stato emesso tra una traccia e l’altra. Gli Edible Woman non volevano descrivere la battaglia e l’odio ma la solitudine silenziosa che avrebbero prodotto, e la voce marmorea di Giommi descrive bene le macerie morali di questo cimitero finale. Il disagio corrosivo e scompaginante sigillato da “Call Of The West/Black Merda” si ricompone nelle conclusive “The Action Whirlpool”, inerte canto accompagnato da fischiate e da un mellophone antologico, e l’elettro-acustica “Will” nella quale albeggia una visione rigata da chitarre elettriche in caduta libera. L’album semplice e magistrale si chiude così…
Ma qual è la nazione di cui ci parlano gli Edible Woman? “Nation” si espande verso direzioni imponderabili, non ultima forse anche la speranza in una visione finale, la nazione del titolo, che non sia quello che abbiamo perduto ma ciò che dovremo cercare e trovare di nuovo.
72/100
(Stefania Italiano)
14 marzo 2013