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La classe non è acqua, malgrado il piovoso giovedì di aprile. Il mese più crudele nella Terra Perduta di T.S. Eliot diventa nel 2013 il più atteso dai fan nostrani di Laetitia Sadier, che sceglie Bologna come prima di sei tappe in giro per l’Italia. “We’ll be here for over a week, it’s amazing”, parole al miele che stridono con l’attuale grigiore economico e politico (tema a lei caro) che stiamo vivendo. Detto questo, mi auguro per la grandezza del personaggio che possa vivere serate più fortunate di questa a livello di presenze e di meteo; tuttavia la pazienza è la virtù dei forti e faremmo di tutto per soddisfare la nostra passione: nello specifico io arrivo al concerto dopo 130 chilometri d’autostrada e il gruppo dopo più di un migliaio, con il bassista Xavi Munoz al volante.
Il set di un’ora abbondante della Sadier racchiude la sintesi del suo lavoro negli ultimi anni in diverse sfaccettature musicali; significativo piuttosto come bastino una Fender Mustang, basso e batteria a rendere al meglio questo universo di stili e riferimenti. Dai pezzi dei Monade di “Monstre Cosmic” del 2008 fino all’ultimo album solista “Silencio”, che viene quasi eseguito per intero, si avverte un’urgenza comunicativa forte – “This is ‘The rule of the game’, a song against fascism” e un aperto cosmopolitismo che sfocia nel bossanova di “Between earth and heaven”. Poi un brano scritto con Tim Dane in linea con gli Stereolab più pop (“Next time you see me”) e l’omaggio alla compianta Trish Keenan dei Broadcast con “Silent spot”, che si aggiunge alla perdita della compagna di avventure di una vita Mary Hansen e recentemente della sorella Noelle.
Il senso di nostalgia di Laetitia per le persone care viene quindi messo a disposizione di brani intensi e (pro)positivi, che vedono la voce splendida protagonista nei falsetti e la chitarra prestata a folk, lo-fi e kraut-rock come nei riverberi spaziali di “Change of destination”. Più energica ed asciutta della versione su disco è “Auscultation for the nation”, con ritmica e basso sostenuti alla maniera dei primi Cure. Il bis regala altre due perle, “Statues can bend” l’elegante singolo estratto dal primo album “The trip” del 2011 e la magnifica “Etoile”, duetto in francese col batterista Emmanuel Mario; il brano trasforma le atmosfere cantautorali e dreamy di partenza in un semplice e ripetuto riff rock, dritto nell’invettiva contro le rigidezze del Cattolicesimo.
Pazienza se durante l’esibizione che segna il ritorno nei nostri confini di Laetitia Sadier un tipo di mezza età trova più interessante provarci spudoratamente con tre universitarie. Il lato oscuro del Belpaese. Magari le sue aspettative non erano le stesse di una dozzina di fedelissimi con i quali la cantante ha condiviso ricordi ed impressioni a fine serata. D’altronde, di quella sporca dozzina ora faccio parte pure io.
(Matteo Maioli)
12 aprile 2013