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Oggi bisogna essere generosi, quindi immaginate della psych wave dentro una scatola di cioccolatini marchiata Beach Boys o Beatles, giocate con due o tre assonanze ritmiche, mettete a friggere dei buoni Steppes d’annata con spruzzi di Tame Impala, Grizzly Bear e degli Animal Collective meno religiosi, ottenendo between places degli Young Dreams. Provengono da quella spelonca grigia che è Bergen, in Norvegia. Città che può attirare per il porto, lo stoccafisso, qualche concerto metal al castello e per il mercato del pesce nella stagione estiva dove si può comprare un panino con gamberetti e salmone al modico prezzo di 61 kroner (8 euro circa) provare per credere. L’elemento di sicuro spessore artistico è il tentativo di uscire dalle aurore boreali per cercare il sole (non quello di mezzanotte) che tanto manca a questi giovanotti dalla pelle albina.
“Between places” prova a ricalcare le tracce reticolate di questo chiarore, ma poi si perde nei flussi agrodolci dello Skagerrak, dalle parti di Kristiansand o Mandal. Non va oltre, come non varcherebbe i confini della Repubblica Ceca un medio disco di polka. Ma bisogna essere generosi, dicevamo. Sentite wunded hearts forever e the girl that taught me how to drink and fight e percepirete linee di jingle con lievi ondulazioni bgm (Alan Silvestri, John Williams) che a più di qualcuno faranno venire in mente colonne sonore di film visti a 12 anni in vhs col primo dolby surround. Tutto sommato il vibe è festoso, quasi sontuoso, quasi (pop)ular, vedi first days of something, dove Tellez prova a sognare sogni mediterranei o caraibici o africani, ma rimane un tentativo senza sostanza, senza corda, tutt’al più può essere un viaggio di sola andata per Maracaibo o Caracas con zero garanzie di restarci vivo.
Ovvio che contro voli pindarici da un terra all’altra meglio rimanere coi piedi ben saldi sul linoleum di casa. Ombre di fuga in “When kisses are salty” o “Dream alone”, “Wake toghater” che donano briciole al già sentito. È come prendere la metropolitana a Oslo che non è mica come prendere la metropolitana a Londra! Sul finale ponderato, viene da pensare che solo “Footprints”, traccia numero uno, possa considerarsi brano degno di nota e visibilità. È la sinfonia che salva gli Young Dreams da un tonfo netto. Poi un vago sfogo latinoamericano che li protegge dalle grinfie dell’insufficienza. Per il resto è come lanciarsi col paracadute da un piano rialzato.
60/100
(Christian Panzano)
1 aprile 2013