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Le Cocorosie si danno al pop, senza trasfigurazione stilistica o estetica, sacrificio poetico o concetto riscontrabile. Si danno al pop perché hanno voglia di successo e immediatezza. Su questo, cari miei, possiamo incazzarci o scandalizzarci quanto vogliamo, non si può dire nulla…
Il pop in sé non è mai stato un male. Anzi. È la stella polare sotto la quale giudichiamo tutta la musica contemporanea. Anche nelle sue derive più sperimentali, antagoniste e aberranti la musica si associa o si contrappone all’idea estetica pop dominante. Non ci sta niente da fare… Capita, è capitato e capiterà ancora che l’artista bohemien, alternativo, strano, si converta a ritmi e arrangiamenti alla moda, che semplifichi il proprio messaggio per ottenere maggiore visibilità o che cerchi di confrontarsi con strutture più facili e ammiccanti per finire in radio.
Chi ha amato le nenie folk e i barocchismi narrativi delle sorelline ci rimarrà piuttosto male ascoltando l’ultima loro fatica. Ma era prevedibile, “The Adventures Of Ghosthorse And Stillborn” già si affacciava su questi lidi. Ora la traduzione è completa, diretta, definitiva. Se Gesù Cristo non guardava la pagliuzza nell’occhio, le Cocorosie non guardano in faccia a nessuno. Sono ormai artiste freak di tendenza, che mirano con avidità alla levigatezza sonora dei Phoenix, all’alt pop malinconico islandese di dieci anni fa, alla dubstep facilitata, al dream-trip-hop buono per gli intenditori e per i neofiti, alle citazioni passatiste, al recupero di sfumature esotiche che piacciono tanto alle ragazze innamorate e sognanti, alle canzoncine romantiche da pomeriggio parigino ritmate da pattern electroacustici appena sporcati da polvere di fata.
E certo, le fate, gli incantesimi, l’esoterismo pseudo-wiccan, le fascinazioni favolistiche, la natura, gli uccellini, sono ancora parte integrante della musica delle due, ma della sperimentazione, della visionarietà, dell’estrema eleganza tramite cui si unirono folk originale ed electro-minimalismo artigianale c’è davvero poco. Ci sono comunque Antony, che nobilita un paio di tracce (l’effervescente e modernissima “Tears For Animals” e “Poison”), il pianoforte incantato e una ghost-track che riporta ai fasti fantasiosi degli esordi… Vi bastano?
Le Cocorosie cantano nuove canzoni. Il mondo è cambiato, loro sono cambiate, qualcuno gioirà, qualcun altro piangerà, altri se ne fregheranno. Va così in ambito pop. Tutto diventa più facile e insieme più difficile. A decidere non sono i fan, gli appassionati, i critici, ma le classifiche. Il discorso è questo. Riusciranno le Cocorosie a sfondare con una hit? Probabilmente no. Ma in questo disco ci sono almeno due o tre tracce (“Villain”, “End Of Time”) che potrebbero benissimo portare le Cocorosie laddove “Little Talks” ha portato gli Of Monsters and Men.
Per concludere e riordinare la faccenda… Le Cocorosie fanno baroque-electro-pop e lo fanno bene. Sanno cantare, costruire melodie e hanno gusto. Come già detto, non ci sta niente da fare. Si meritano la sufficienza.
60/100
(Giuseppe Franza)
21 maggio 2013