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Innumerevoli le collaborazioni nel corso della carriera dell’oscuro crooner che va sotto il nome di Mark Lanegan, da Josh Homme e QOTSA a Slash, passando per Greg Dulli degli Afghan Whigs e Isobel Campbell, ex voce dei Belle and Sebastian.
Stavolta lo troviamo accompagnato dal polistrumentista londinese Duke Garwood e invero questa collaborazione risulta a suo modo convincente, nel senso che la voce roca e torbida di Lanegan ben si sposa con le atmosfere chitarristiche di Garwood, mai ingombranti o sontuose, che anzi vanno sempre a braccetto col mood fioco dell’intero disco. Ed è anche questo il punto debole di “Black Pudding”: quel suo essere troppo scarno, troppo asciutto per poter fare breccia. Il precedente e parecchio discusso “Blues Funeral” riusciva, nonostante ammiccamenti strani a drum machine e synth-pop anni ’80, a risultare potente ed evocativo, intriso dei soliti demoni oscuri di Lanegan, e di questo bisogna dargli atto, perché in “Black Pudding”, invece, l’emozione è un miraggio lontano. Manca quella condizione in bilico tra bene e male, tra dannazione e invocazione del perdono, che contorna, ad esempio, “Whiskey for the holy ghost”.
Se confrontato a quella che è la carriera di mister Lanegan, quest’album non brilla né per sensazioni né per scorrevolezza, ma si lascia apprezzare perché è indubbio che i due ci sappiano fare. L’atmosfera qui ricreata è quella di un pomeriggio assolato, pregno di un’insanabile aria desertica che sa di male di vivere e malinconia. Un pomeriggio di sole e neanche un filo di vento, silenzioso e composto in apparenza, acido e brumoso in realtà, racchiuso in una cornice fatta da due pezzi esclusivamente strumentali: la pensosa title-track come opener e la conclusiva e desolante “Manchester Special”, che propone un sound vivido e lascia un buon sapore di questo disco.
A rimarcare l’atmosfera fumosa e psicologicamente violenta nella sua pacatezza folkeggiante ci pensa la bella “Pentecostal”, tra i pochi pezzi del disco, oltre alla quasi country “Mascalito”, alla sotterranea bellezza di “Sphynx” e alla godibilissima e frizzante “Cold Molly”, a risaltare senza scorrere ruvidamente via. A lasciare che l’ascoltatore possa godere della nebbia di quel sound lasciandosi avvolgere senza avvertire una sorta di freddezza.
Se si è al primo ascolto di Mark Lanegan occorre iniziare altrove, poiché il primo approccio alla sua musica con questo “Black Pudding” potrebbe risultare fuorviante. Per tutti gli altri, preparate pensieri di mestizia e cappellaccio da cowboy.
70/100
(Raising Girl)
15 maggio 2013