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Sembrava che il futuro avesse assunto connotati più rassicuranti, evidentemente qualcosa è andato storto. Che sia tutto riconducibile a David Cameron? La sfera personale da un lato, quella politica/sociale dall’altro: se si guarda la carriera dei Primal Scream, è indubbio come ciò che accade tanto al di fuori quanto internamente al gruppo abbia influenzato la loro musica lungo trent’anni di onorato servizio. Talvolta i due ambiti si sono intersecati, in altri casi l’uno ha preso il sopravvento sull’altro. È indubbio, comunque, che l’aver vissuto in prima persona Thatcherismo e Blairismo abbia forgiato lo spirito di Bobby Gillespie e soci, e che la visione della realtà britannica abbia caratterizzato un significativo tratto del percorso artistico condotto sin qui. Perché tutto questo? Perché dopo due dischi come “Riot City Blues” e “Beautiful Future”, episodi dignitosi ma non ai livelli del picco creativo del quinquennio 1997-2002, il rischio che i PS avessero imboccato una parabola discendente era stato rimarcato dal sempre più scarso focus mediatico, che aveva gettato più di un’ombra circa un possibile ritorno sulla cresta dell’onda. Rinfrancata invece dal grande successo dello Screamadelica tour, la band ha saputo sfruttare la rinnovata attenzione tirando la volata a questo nuovo “More Light” puntando deciso sulla necessità – per le nuove leve – di risvegliarsi dal torpore e scuotere le proprie coscienze. Rimettendosi quindi in gioco da un punto di vista di tematiche e contenuti, questo 2013 ci consegna un album all’altezza della situazione.
Se per gli ultimi due capitoli si può parlare di dischi prevalentemente fatti in casa, per “More Light” i Primal hanno voluto dotarsi di un produttore d’eccezione, quel David Holmes vecchia conoscenza nonché amico intimo della band: mai come in questo caso, occore dirlo, la mano di un amante della musica a 360° – oltre che di un professionista di tutto rispetto – contribuisce a dar forma e sostanza alla scrittura di Andrew Innes. Colpisce subito, infatti, il grande lavoro al mixer che si traduce nella corposa stratificazione e cura dei suoni su ciascun pezzo; questo, unito ai testi fortemente critici e politicizzati che si avvicinano alla cascata di bile di cui XTRMNTR trasudava, è la caratteristica che salta maggiormente all’orecchio quando si lascia suonare l’album per la prima volta. Certo, quando in carriera hai miscelato una tale varietà di stili al punto da creare un sound riconoscibile, andare vicini all’auto-tributo è un rischio non sempre aggirabile: brani come “Hit Void” o “It’s Alright, It’s Ok” ricordano fin da vicino vecchi classici, vuoi per l’incedere o gli strumenti utilizzati. Per un disco di tredici pezzi – e dal minutaggio considerevole – sono però variabili il cui peso va riconsiderato in virtù del buono e originale che i Primal Scream riescono a sfoggiare: l’incedere lisergico di “2013” e “Sideman”, gli echi shankariani in “Relativity” (che si snoda attraverso tre temi) ma soprattutto “River of Pain” e “Walking with the Beast – a parere di chi scrive, due degli assi del disco – concorrono a dare prova del rinnovato stato di salute della band. Qua e là si colgono inoltre sfumature e atmosfere da film score che arricchiscono il microcosmo sonoro del disco, allargando lo spettro e fortificando la sensazione che ci sia molto su cui far lavorare l’udito. Allo stesso modo non mancano gli episodi in cui la scrittura appare più limitata, ma d’altra parte è risaputo come la concezione del r’n’r secondo Bobby Gillespie preveda anche divertimento, vibrazioni positive e quant’altro renda la musica un’esperienza sensoriale totalizzante. Ecco quindi che i pezzi più marcatamente tradizionali, che in passato sarebbero stati bollati come l’ennesimo divertissement rollingstoniano, trovano il modo di andare al di là della faciloneria: “Invisible City”, “Turn Each Other Inside Out” e “Culturecide” hanno una struttura più semplice e diretta ma una corazza decisamente più rivestita, e quindi da sviscerare, rispetto ai loro fratellastri passati. Resta quindi la consapevolezza di essere di fronte a un momento ricco di vita per i Primal Scream: c’è l’attitudine – questa sì, mai venuta meno – con cui prendono apertamente posizione e la voglia di rimettersi in gioco in maniera più spinta rispetto al recente passato – pur non riuscendo a far sempre funzionare l’espediente del mixer. Dribblando il celebre topos della seconda giovinezza, si può comunque affermare che “More Light” restituisce il giusto colore ad un’entità ancora importante, che in tanti avevano bruscamente dato per sorpassata.
67/100
(Daniele Boselli)
19 maggio 2013