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Suonare alle feste e creare musica il più possibile ballabile: chi non lo fa ha certamente amici che lo fanno. Se però in un dato momento si è sprovvisti di tali capacità o di tali amici, ecco saltar fuori dal cilindro un’ottima soluzione: i Wampire. Dal nome che altro non è che la dizione alterata da un loro amico tedesco della parola “vampire” appunto, Rocky Tinder e Eric Phipps, americani di Portland, amici fin dall’infanzia, si presentano sulla copertina con una foto che pare rappresentare i Milli Vanilli cianotici e con l’ittero. Cosa aspettarci quindi?
Partiamo dal presupposto che questo loro primo lavoro “Curiosity”, è stato anticipato dal singolo “The Hearse”. Quintessenza elettrodance, gravida di sintetizzatori e atmosfere new wave come non se ne sentivano dall’esplosione degli A-ha. Una sorta di campioncino di crema anti-rughe, che si sa, è sempre più concentrato rispetto ai flaconi standard che poi s’acquistano. Un paragone che può calzare a pennello, perché man mano che l’ascolto dell’album avanza, questa forza dirompente viene diluita e misurata su ogni pezzo, costruendo un intero lavoro tutto sommato coeso, grazie al quasi onnipresente filo di synth, che regge ogni traccia provvista di propria identità, ma forte dell’insieme in cui risiede.
Così, dopo essere stati presi e sbattuti al muro per poi rimbalzare sulle sei pareti di una stanza dal primo pezzo, già citato, arriva il tempo anche per altre atmosfere, saggiamente ovattate in ottimo spirito anni ‘80, che ora fanno largo a chitarre striate e lievemente più rock di quel che ci si potrebbe immaginare, ora invece ti assorbono in momenti di psycho-dream (“Snacks”) quasi riflessivi, per poi riproporre ritmi saltellanti, sillabati in un canto Strummeriano ripulito dal reggae (“Giant”) e poi ancora piegarsi da un lato e scivolare su spunti acid-folk (“Outta love”).
Prodotti da Jake Portrait (Unknown Mortal Orchestra), rendono grazie anche ad un mix di padri ispiratori in cui senza problemi si possono inserire Bauhaus, Spectrum, New Order, Human League e.. sì, ovviamente anche i Depeche Mode, non andando troppo oltre A broken Frame. Se poi consideriamo che dal vivo la resa è a tratti più acida del lavoro in studio, non gridiamo al miracolo, certo, ma possiamo azzardare e considerare “Curiosity” un “debutto in società” di ottimo livello.
78/100
(Elisabetta De Ruvo)
13 maggio 2013