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Il quartetto dell’Ontario capitanato da Luke LaLonde (che scioglilingua!) torna dopo tre anni di assenza con “Birthmarks”, un album che unisce la voglia di divertirsi ad una proposta apprezzabile per un gruppo dalla giovane età, cavalcando l’onda del successo degli ultimi grandi gruppi indie e pop.
L’iniziale “Needle” parte con la strofa in stile Fleet Foxes per sfociare in un refrain contagioso ma che sa inevitabilmente di già sentito (Shins, New Pornographers); fa meglio “Ocean’s deep”, così semplice che entra e non esce più dalla testa, un esempio di ballabile indie per gli anni dieci. L’altro probabile pezzo forte del lavoro, “With her shadow”, ha una base acustica contrastata da una batteria militaresca, presentando l’arrangiamento più brillante della raccolta, arioso e primaverile. Infine pollice in su per “Permanent hesitation”, giro di basso promettente e sound funkeggiante che si arricchiscono del bel cantato di Lalonde nel crescendo finale.
Qualche problema in fase di scrittura – molto piatta e derivativa – nei brani centrali dell’album: da “Golden promises”, quasi una outtake degli ultimi Mumford and Sons, a “So slow”, pretenziosa nel voler emulare i tratti distintivi di Hurts e Clouddead. Anche “6-5000”, a giudizio di chi scrive resta un’occasione mancata; poco a fuoco nella sua girandola di momenti, gli manca quel qualcosa in più per essere un singolo accattivante.
L’impressione è che la stoffa (“Cold pop”, a dispetto del nome, è un degno pezzo pop) ce l’abbiano, i Born Ruffians. Il sarto che confezioni al meglio il tutto, invece, ancora manca.
(Matteo Maioli)
62/100
14 giugno 2013