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Un trip di un’ora. Veloce ma molto a fuoco. I Deerhunter sanno bene che tasti pigiare e, nonostante la serata non parta al meglio a causa di problematiche (sembra) di volume basso dell’impianto e di Cox che non vuole suonare, il concerto fila via liscio, breve ma intenso, come direbbe qualcuno. E con pure un bel suono chiaro.
La serata al Bolognetti è abbastanza fresca, il pubblico richiamato non è moltissimo per il valore di chi sale sul palco, ma c’è attesa, si sente ed è palpabile nell’aria. Innanzitutto il cambio di formazione: rispetto al concerto del Locomotiv dell’aprile 2011 c’è un nuovo bassista – Josh McKay – il cui suono si incornicia bene tra i feedback della band di Atlanta per la nitidezza e per la capacità di lasciare che siano gli altri strumenti a sporcare il resto, e un secondo chitarrista – Frankie Broyles – che serve solo a rendere un po’ più libero Cox e poco altro. Un Bradford Cox tarantolato as usual (solo forse un po’ nervoso per le questioni qui sopra ricordate), con un ciuffo nerissimo improponibile sugli occhi che si toglie letteralmente verso la fine: era una parrucca. Fisicamente mi ricorda sempre di più Bugo, ma è una cosa mia.
La musica: stavolta “Desire Lines” è davvero esplosiva (grazie alla tripla chitarra nel finale), i brani di “Monomania” ovviamente vengono fuori – se è possibile – ancora meglio cioé più comprensibili rispetto alla “maschera garage” che ha l’album in studio, come ad esempio “Neon Junkyard”, mentre altri pezzi si confermano ottimi i cavalli di battaglia come “Revival”. Con in più la cover dilatata e interminabile di “Blue Milk” degli Stereolab.
Un concerto costruito su pezzi lunghissimi, ed è come l’appetito che vien mangiando: più i Deerhunter espandono le code, più vorresti che non smettessero più. Ma l’oretta di live va bene, di quella non ci si deve lamentare.
Meglio un ricordo concentrato che una perdita di concentrazione.
(Paolo Bardelli)
27 giugno 2013