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Mundus erat mundus, mundus cum munda creares. Il famoso distico di Alfano da Salerno è un monito per tutti. Filosofi, lavativi, creativi, sensibili, insensibili, musicisti, precari, rivoluzionari, grillini, gatti, volpi, potenti, impotenti, cafoni, e via elencando. Il significato di queste belle parole è, come in ogni grande aforisma, oscuro. C’è chi lo traduce in un modo, chi un altro, chi gli dà un significato mistico, chi polemico… Ora che parliamo di un disco “world”, vale a dire di musica africana fatta da occidentali (non nell’accezione puramente geografica, sennò entriamo in diatribe idiote in cui non ho voglia e tempo di entrare), lo prendiamo alla lettera.
Il mondo era già mondo, mondo mentre creavi le cose del mondo. Tenete presente che quel munda (cose del mondo) è un termine assai dispregiativo, più vicino al derivato immondizia che al derivante mondo. Le cose, i contenuti, le forme, che già ci sono, sono nate in un certo luogo e modo, hanno senso in se stesse e per se stesse. È difficile penetrarle, impadronirsene. Non è che uno arriva e in due minuti, o in tre mesi (è lo stesso), vuole ricrearle, gestirle, farsene interprete. C’è qualcosa di irrispettoso in questo atteggiamento. E, in partenza, di profondamente umano (in senso greco) e quindi occidentale. L’uomo d’occidente è sempre stato curioso dell’altro, lo ha disprezzato e chiamato barbaro, selvaggio, ignorante, ma alla fine ha cercato un approccio, un modo per comunicare e imparare.
La musica world che ispira da più di cento anni la musica colta e pop continentale è proprio una conseguenza di questo atteggiamento. Prima si guarda con simpatica superiorità alle produzioni “primitive”, “ingenue”, di popolazioni diverse, poi si cerca di capire. E questo va bene, va benissimo. Poi qualcuno si mette in testa di rifare quelle musiche. Prenderle e riprodurle in toto senza vera mediazione o distanza. Badate bene, la distanza, intesa come ironia, contaminazione, influenza, è una prerogativa indispensabile del rispetto. Senza si crea immondizia, presuntuosa inutilità.
Entriamo nel vivo della questione. I Dirtmusic (musica immondizia) sono Chris Eckman dei Walkabouts e il famoso ragionier Hugo Race dell’ufficio Semi Cattivi. Sono arrivati al terzo album. Nel primo si erano interessati alla musica di confine di America e Australia, casa loro… Nel secondo si erano fissati con Timbuktu, Mali e l’Africa. Su questo… nulla ancora da dire. È bello e lecito innamorarsi di certe parti dell’Africa. Chi non ne apprezza ricchezza spirituale e musicale è una bestia. Ma guardiamo da più vicino il terzo album. “Troubles”. I due musicisti visitano Bamako. Oddio, ma c’è la guerriglia! Oddio, i fondamentalisti stanno occupando l’Azauad! Oddio, i tuareg sono cattivi! Ua, la gente muore di fame, decapitata, sparata dal governo, dai francesi, dai tuareg, dai gruppi islamici organizzati.
Che problemi! Come risolverli? Facciamo un disco con i musicisti della città… Gente che suona e canta come dio, o Allah, comanda. Ben Zabo, Aminata Traoré, Virginie Dembélé e Samba Toure… E come lo facciamo suonare quest’album? Griot a palla, blues (che a Mali è nato), desert rock (attenzione questa è musica dei tuareg!), un po’ di indie che, dice uno dei due, io ho sempre suonato con Nick Cave, l’afrobeat (mmm, ma quello è nigeriano…), dub, che ci sta sempre bene, qualcosina d’hip hop, funk, e hilife (ue, ma quello è del Ghana) e folk politicizzato anni ’50.
Un disco global più del previsto, che trascende il Mali per evocare il deserto del Sahara, il Maghreb, l’Africa Occidentale (Nigeria, Sierra Leone, Liberia e Ghana), le pianure americane e le coste australiane. È importante parlare della critica situazione politica e sociale del Mali. Ma questo disco non è un’operazione civile. Gli manca reale ispirazione, valore, bellezza musicale. Voci e melodie sono stupende, intendiamoci. Ma gli arrangiamenti sono tutti posticci. Siamo in una pericolosa via di mezzo. Lontani sia dall’autenticità che dal gioco di atmosfere e influenze. I Dirtmusic vogliono fare gli africani ma non lo sono, e portano nel loro limbo anche Traoré e Toure. Quanti album di artisti africani sono oggi suonati da europei e registrati come finti prototipi di commistione? Non se ne può più.
59/100
(Giuseppe Franza)
18 giugno 2013