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Un’innegabile maturazione artistica ha contraddistinto la carriera decennale dei Loch Lomond, un ensemble di musicisti provenienti dalla feconda Portland che nel corso degli anni è riuscito a ritagliarsi un piccolo spazio nel cuore di molti appassionati. Benché somigli in tutto e per tutto ad una piccola orchestra, il gruppo è in realtà una one man band; diversi musicisti si sono infatti alternati nella compagine, che ha come unico membro fisso l’eclettico multistrumentista Ritchie Young, prima voce e autore unico di musica e testi. C’è da scommettere che il frontman ci penserà due volte prima di cambiare nuovamente la formazione, considerato l’ottimo equilibrio raggiunto dai suoi Loch Lomond con “Dresses”, uscito questa primavera per Chemikal Underground.
Quello della band di Portland è un aristocratico folk da camera, capace di lasciare il segno grazie a melodie semplici ma raffinate, valorizzate da aperture strumentali estremamente evocative che richiamano alla mente atmosfere quasi cinematografiche. Banjo, flicorno, violoncello, vibrafono, organo, pianoforte, come già accennato in precedenza, la ricca lista della strumentazione dei Loch Lomond fa pensare più ad una piccola orchestra che ad un semplice gruppo pop. Eppure gli arrangiamenti non risultano mai invadenti, anzi accompagnano il dolce incedere dei pezzi, sottolineandone i toccanti crescendo e risultando, alla fine dei conti, il vero valore aggiunto della band.
Qualcuno potrà obiettare che in “Dresses” la scrittura di Ritchie Young si adagia spesso su melodie fin troppo semplici, come se il musicista abbia preferito circumnavigare territori conosciuti, piuttosto che esplorarne di nuovi. La critica di certo non è campata in aria, ma ascoltando un brano come “Virgin Mountain” ci si dimentica presto di tali sottigliezze; il pezzo in questione, nella sua innegabile linearità, è la perfetta dimostrazione di come a volte bastino tre accordi per fare una grande canzone. Da tempo infatti, non si sentiva un refrain pop capace di esplodere con una tale ariosa potenza. Che dire poi di “The Way”? Questa malinconia litania, che vede il frontman lasciare il microfono alla bravissima Jade Brings Plenty, è probabilmente tra quanto di più intenso ed emozionante mai composto dai Loch Lomond fino ad oggi.
Ha quasi del disarmante la facilità con cui ci si affeziona a queste canzoni, dovuta principalmente alla loro rara dote di saper commuovere e rassenare allo stesso tempo. Da “The Wedding”, con i suoi perlati rintocchi di pianoforte, passando per “Tiny Steps” e “Your Eyes”, pezzi in cui il cantato di Young si fa più caldo ed avvolgente, sono molti i brani che toccano le corde più profonde dell’ascoltatore.
È assai improbabile che i Loch Lomond arrivino mai a scalare le classifiche, così come è altrettanto difficile che riescano prima o poi ad aggiudicarsi un posto sui palchi principali di qualche importante festival. Pazienza, vorrà dire che continueremo a goderceli così, nella quieta solitudine di una domenica pomeriggio passata in casa con la testa spenta ed il lettore cd acceso. A volte non serve altro.
70/100
(Stefano Solaro)
4 giugno 2013