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C’è bisogno di grande maturità nel coniugare freschezza giocosa e malinconia. C’è bisogno di quella maturità che è tipica della giovinezza, quella brezza che sa di caducità e ingenuo amore in cui silenzio e semplicità non provocano ancora alcun imbarazzo. Perché, Leopardi docet, la giovinezza è quell’”ora felice dell’esistenza nella quale le fervide illusioni ci tengono lontani dall’orrida realtà delle cose, e noi percorriamo, viandanti obliosi e fidenti, la vita con l’anima piena di arcane aspettazioni”. E se quell’ora felice e speranzosa di leopardiana memoria avesse una soundtrack, probabilmente questa sarebbe “Soft Will” degli Smith Westerns. Un album che è un viaggio tra le suggestioni glam degli anni ’70, richiamate in più e più modi sul filo sottile di quel fenomeno musicale odierno che siamo soliti denominare “indie rock”.
Questi giovani sbarbatelli americani con il pop inglese nel cuore ci guidano attraverso un caleidoscopico mood coloratissimo fatto di piccoli anfratti ameni, lungo una strada più consapevole rispetto a quella del precedente “Dye It Blonde”, disco rivelazione del 2011. Lo stile chitarristico, sempre ispirato, e la brillante sensazione di aria fresca che riempie i polmoni nell’ascoltarli, riportano alla mente Bolan e i suoi T-Rex, una musica in cui tutto brilla e ha il sapore fruttato dell’estate. Le melodie trascinanti di “Idol”, “Only Natural” e del singolo “Varsity”, ad esempio, rispondono perfettamente alla descrizione di cui sopra. Qua e là, poi, si trova anche qualche richiamo agli anni ‘60 nella loro accezione più beatlesiana, tra riverberi e delay vari (“Fool Proof” e “3Am Spiritual”) e, di conseguenza, al più recente brit-pop, da sempre tra le loro dichiarate fonti d’ispirazione. Ma se tutto questo non dovesse ancora bastare, si renderebbe necessario ascoltare la strumentale “XXIII”, ovvero come suonerebbero i Pink Floyd di “The Dark Side of The Moon” se come lieder si sedesse un Brett Anderson più greve e malinconico che mai. Quasi cinque minuti di pura trascendenza musicale, mirifica esternazione della maturità di cui si parlava, nonché appannaggio di un talento per le melodie che va oltre il semplice easy-listening.
“Soft Will” non è che la grande conferma che tutti si aspettavano per gli Smith Westerns. Le aspettative sono state ampiamente soddisfatte. Un disco solare ma non banale, adatto un po’ a tutti. Ma se anche voi fate parte di quella cerchia di persone che ha consumato i dischi dei primi Suede, che quando parte “Needle in the Camel’s Eye” di Brian Eno va in visibilio e che sotto la doccia canta “Suffraggette City”, l’entusiasmo potrebbe essere anche maggiore. Aspettate però prima di rispolverare eyeliner e rossetti; qua il glam non è inteso come esternazione compulsiva della propria identità estetica e sessuale, di un solipsismo ecletticamente plasmato su una musica di grande appael, ma come leggerezza, libertà, sensazioni che richiamano quasi violentemente purezza e positività, senza mai rinunciare ad uno sguardo intimistico.
Come dicevamo all’inizio, giovinezza.
80/100
(Raising Girl)
23 giugno 2013