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Mélissa Laveaux, da brava canadese, rimesta per bene il suo approccio intellettuale al pop e fa trascorrere quattro anni prima di tornare con “Dying Is A Wild Night”, titolo che condensa nell’idea oscura della notte la ricerca di una strada nuova. Un black pop dalle ritmiche serrate, richiamo esplicito allo spirito afro supportato dalla voce nera della Laveaux, quando il trattamento musicale cui vengono sottoposte le tracce vira indiscutibilmente verso le chimiche white consegnate alle schitarrate jangle pop e alle nervature neghittose della dark wave e del dub.
I brani si susseguono con alternanza quasi pari, un uno-due tra rapide e risacche che creano alla fine distribuzioni a coppia dove brani come “Postman”, “Hash Pipe” e “Pretty Girls” rappresentano lo spirito paisley underground; brani come “Move On”, “Generous Bones” e “Triggers” lo spirito urban contemporary mai sguinzagliato liberamente verso la dance pop e brani come la torch song “Dew Breaker”, “Sweet Wood” e “Calvatious” ibridismi dub colorati di twang senza riverbero e ritmiche secche e sabbiose schiuse su trip hop scremati. In mezzo, come scogliera contro cui frangersi, la dark wave di “Cart Sans Horse” e la folk world music “Piebwa”, figlia unica che riesce a non suonare spaesata, visto che stringi stringi il segreto che tiene insieme le tracce è la ricerca pop del ritmo.
“Dying Is A Wild Night” – verso suggestivo tratto da una poesia di Emily Dickinson – è una buona mostra intellettuale dell’odierno scibile ritmico dentro il range decisamente white di due decadi delimitate, fatta di quadretti dimostrativi di tecniche e composizioni piacevoli da ascoltare anche se a tratti rigidi nelle incorniciature. Purtroppo viene meno il dono di cui il pop mena vanto, l’immediatezza, una certa aria ancora di freschezza (anche quando fabbricata), la melodia, o la cantabilità o la “canticchiabilità” o la “fischiettabilità”, o “…” (come meglio vi pare). Ma alla fine… la mostra è bella e scorre pure che è un piacere.
68/100
(Stefania Italiano)
4 luglio 2013