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Lo hanno detto in tanti, lo diciamo anche noi subito: i Sigur Rós sono tornati con un album davvero convincente dall’inizio alla fine che forse mancava loro dai tempi di “( )”, datato 2002.
“Kveikur” richiede all’ascoltatore numerosi ascolti, e necessita che lo stesso si cali in un mood lunatico. Come quello di chi lavora tutti i giorni dodici ore al giorno in una frenetica estate e trova un terso giovedì mattina per scriverci sopra. In cinquanta minuti troviamo condensate tutte le peculiarità dei Sigur Rós: le sensazioni dark-wave, le melodie aperte e dreamy di “Stormur”, la canzone di sicuro successo à la “Hoppipolla” (il singolo “Isjaki”, non a caso traducibile con Iceberg), una title track grandiosa nelle soluzioni sonore, eppur non ridondante.
Tutto si riconduce al loro suono iniziale senza rivoluzioni, nonostante ci siano alcune nuove virgole da annotare come il beat elettronico unito al rumore in “Yfirborð”. Molti dei pezzi di “Kveikur” (che vuol dire “stoppino di candela”) possono resistere alla prova del tempo, per non parlare di “Brennisteinn”, una canzone decisamente fuori concorso: per il sottoscritto, un lascito alla storia della musica. Partenza industrial molto tesa, seconda parte da dancefloor intellettuale, stop and go da maestri del brivido e una coda finale tra My Bloody Valentine e Sufjan Stevens.
C’è anche un pizzico di furbizia in brani che fanno il verso agli Arcade Fire (“Rafstraumur”) o a certo intimismo alla Cat Power come la conclusiva “Var”. Ma sono solo appunti in questa prova di forza. Il nuovo trio, orfano del tastierista Kjartan Sveinsson, ha ancora le idee chiare e la mente fredda.
79/100
(Matteo Maioli)
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25 luglio 2013